domenica 20 novembre 2016

La terra senza palco”, la vittoria di Francesca Romana Miceli Picardi



Davvero curiosa, la vita sul nostro pianeta.  Contraddittoria e fragile. O almeno, così la vede un’aliena che non poteva sopportare l’odore dell’umanità e ora invece è lieta di esserne impregnata.  Con la performance “Torno sulla Terra” , Francesca Romana Miceli Picardi ha vinto il contest “La terra senza palco” nell’ambito del Festival Linea d’Ombra.  La kermesse, a cura di Antonello De Rosa e presentata da Pasquale Petrosino presso la Sala Pier Paolo Pasolini, ha visto impegnate tre compagnie in esibizioni di venti minuti, prive di supporto audio e diretto contatto con il pubblico, ma in grado di avvalersi di videoproiezioni. Nella registrazione di comportamenti, ossessioni, debolezze che appaiono completamente nuovi nell’ottica di uno straniamento ironico ma tutt’altro che inoffensivo, gli atti dei nostri simili sono catalogati con un’immediatezza che polverizza ogni ambiguità (“Squali umani sbranano l’uomo senza far uscire il sangue”, “Guerra: gioco politico a squadre. Regole: vince il più forte. Premi: nessuno). E mentre alle sue spalle scorrono immagini di umani che annegano nella solitudine o cercano un contatto che li renda vivi, la protagonista, teneramente partecipe dietro il distacco della studiosa, si lascia sedurre proprio da ciò che non è catalogabile (la neve, la musica, il bisogno di ricominciare), lasciando intuire che concedersi un domani, un altrove è il primo passo verso la felicità, anche quando l’altrove è a un passo da noi. Muovendosi tra il “Viaggio in Italia” di Goethe e le “Ventimila leghe sotto i mari”, Cinzia Antifona, Valentina Greco e Francesca Pica hanno attraversato- come viaggiatrici incantate e al tempo stesso profondamente consapevoli- i quattro elementi in “Countdown” della Compagnia PolisPapin fino a giungere alla dissoluzione del mondo siglata dalle ultime parole de “La coscienza di Zeno”.  Fiori distrutti, sacchetti d’acqua nella veste, la dolente partecipazione al volo di Icaro (mentre le immagini alludono a disastri ambientali e avidità in figure stilizzate e in un cromatismo che diviene sempre più cupo) esprimono la necessità di fondersi con la natura e l’inesorabilità di un percorso di morte frutto di caparbio egoismo. “Dentro la scatola” di e con Antonio Grimaldi ha posto l’accento sulla fossilizzazione dei ruoli maschili e femminili, evocata da immagini di scheletri costretti in camicie di forza: non esiste infatti prigione più difficile da abbattere di un pregiudizio. Elvira Buonocore ha dato tutta se stessa alla donna che si muta in bambola per compiacere un uomo che la controlla attraverso un carillon e indossa una maschera di gorilla (dove le persone diventano oggetti, l’istinto non coglie altro da sè). Quando il carillon è chiuso, l’attrice si esprime attraverso battute di film famosi: il momento della crisi ne “L’ultimo bacio”, l’addio a Reth in “Via col vento”, dove la celebre frase “Domani è un altro giorno” è significativamente troncata proprio sull’avverbio “domani”,  la morte dell’androide in “Blade runner”. Le battute alludono tutte a una svolta dolorosa, a un punto di non ritorno e i tentativi del “giocattolo” di riscoprirsi donna sono destinati al fallimento. Il lancio di arti finti verso il compagno è un rabbioso rinfacciargli la sua visione a senso unico e quando si mette in vendita in un supermercato con tanto di megafono evidenzia la totale mancanza di dialogo in una realtà claustrofobica: non a caso la scatola che la contiene ha tutta l’aria di una bara. E il pianeta più difficile da conoscere resta la mente, così abile a tendere trappole lungo il proprio percorso.