Vocazione,
talento, predisposizione. Non importa che nome abbia il vostro daimon, cioè l’essenza
che (poveri illusi) vi rende unici. Dovrete sopprimerlo, dato che la società vi
chiederà ben altro. Quadro implacabile di una generazione alla ricerca di se
stessa, in preda a nevrosi che non appartengono solo ai giovani, “Be normal!”,
che vede all’opera il Teatro Sotterraneo con Sara
Bonaventura e Claudio Cirri per la regia di Daniele
Villa, ha riscosso grande successo presso il Centro Sociale di Salerno nell’ambito
della terza stagione di Mutaverso, diretta da Vincenzo Albano. Tra richieste di
eliminazione fisica a un colloquio di lavoro e un amore vissuto da due
altoparlanti, ma non da due persone, mentre si inseguono sogni impossibili (l’esplorazione
del cosmo), il paradosso più amaro domina un contesto antiumano, in cui
schiavizzare e abbattere prospettive è divenuto normale. Bisogna essere
concreti: se ci sono troppi attori in proporzione al guadagno, non resta che la
roulette russa (con la complicità di Simona Fredella). Bisogna combattere il
complesso di Laio, la presenza ingombrante di vecchi che non si decidono a
togliersi di mezzo (lo sterile gioco con le palle di gomma contro sagome di
autorevoli anziani, da Paperone alla regina Elisabetta). L’indimenticabile
scena in cui la protagonista ingozza in modo compulsivo lo scheletro della
madre in un ospizio non esprime solo una prigionia, ma anche un’identificazione:
il contesto sociale riduce infatti a una sterile carcassa chiunque voglia
seguire la propria ispirazione, soprattutto se si desidera salire su un
palcoscenico. Il comandamento è essere ciò che gli altri si aspettano, anche a
costo di insaponare una corda. Come criceti in una ruota, si cerca un qualsiasi
motivo per vivere, tra il furto della “merda d’artista”e lo stress per un
figlio inesistente. E le note finali di “A perfect day”, tra citazioni che
prefigurano il naufragio, ribadisce sarcasticamente come tutto sia ammesso,
quando si tradisce ciò che si ostina a restarci dentro.