Dissertare sulla schiavitù
psicologica creata dal web è argomento alla portata di molti, ma pochi ne sanno
cogliere la natura disturbante come l’attore, drammaturgo e regista salernitano
Luca Trezza in “Wwww.testamento.eacapo”. Classificatosi al primo posto nella sezione
Teatro al Festival della Creatività di Roma Capitale 2013 e prodotto da Formiche
di vetro Teatro in collaborazione con Erre Teatro di Vincenzo Albano, lo
spettacolo sarà in programma dal 7 all’11 maggio presso l'Ambhara Bar in
via Borgo Dora 10, alle ore 19.30, nell’ambito del Torino Fringe Festival,
mentre il 16 giugno sarà a Bologna presso la Villa Aldrovandi
Mazzacorati (Teatro 1763) in occasione del Per(A)spera Festival. In “Wwww.testamento.eacapo” Trezza consuma
ogni fibra del suo essere. Offre senza mezzi termini
uno specchio generazionale tendente di continuo al parossismo e al tempo stesso
il ritratto convulso di un’anima serrata nelle proprie nevrosi. I pochi oggetti
in scena (un bicchiere di latte, una web-cam, una rosa, un leggio dove
campeggiano emoticon) descrivono le fragili coordinate di quello che potrebbe
essere liquidato come un sociopatico. Agita il braccio come se respingesse
qualcosa di maligno, mescola il dialetto napoletano, quello romano, un italiano
pseudo-aulico e concreto, (la grottesca koinè della rete, ricca di echi e
incongrue suggestioni), danza in circolo reggendo il filo della minuscola
telecamera come se fosse un prolungamento di sé. Il corpo di Trezza è esagitato
perchè riflette l’incapacità di divincolarsi da se stesso. Le catene che lo
stringono mentre attende invano su di un ponte la ragazza X conosciuta in chat
(lo stesso ponte da cui un uomo fa precipitare la moglie per aver scritto su
Facebook di essere single: le parole sono pietre) sono il legame ossessivo con
il passato, la difficoltà di appropriarsi del tempo, l’insofferenza di non
riconoscere più il proprio volto nello scorrere insensato delle ore. La rosa
posta nel bicchiere di latte allude alla passione che trae linfa dalle pulsioni
dell’infanzia, quasi fosse un’occasione per ritrovare la propria identità:
opportunità frustrata dall’impossibilità di manifesatre una sessualità adulta.
La mela divorata simboleggia il tempo consumato senza costrutto, il vecchio
osservato da un androne prefigura l’aridità che lo attende. Nell’eterno
presente della chat, dove tutto può ripartire da capo, il passato è un fantasma
molesto e il futuro un nome da dare al proprio nulla. Quello contro cui il
giovane si accanisce è la frustrazione di chi è ormai ridotto a un nickname,
senza sperimentare i rischi e i piaceri della carne. Ecco allora che il suo
percorso è un falso movimento: gli orizzonti si restringono fino a scomparire e
poco vale guardare dentro di sé fino alle ossa. È la vita stessa a non apparire
su quel ponte solitario.
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