Sa divertire come pochi, ma
il disimpegno non è nelle sue corde. Sguinzaglia la forza anarchica del
linguaggio, ma il gioco è sempre proteso oltre se stesso, verso il
coinvolgimento senza filtri dello spettatore. Esponente di spicco della poesia
visiva e aperta da sempre a ogni sorta di sperimentazione artistica, Tomaso
Binga, al secolo Bianca Pucciarelli Menna, è stata applaudita presso la Galleria Tiziana
Di Caro di Salerno nella sua performance Atterraggi poetici pericolosi
nell’ambito di Salerno Letteratura. Accompagnata dal sassofono di Michele
Vassallo, ha recitato composizioni frutto di una poetica dai cardini ben
precisi: la vocazione dell’artista ad aprire gli occhi, la denuncia
dell’ottusità del potere, la necessità di un mutamento nella prospettiva. “Con
quaranta gradi all’ombra e novantotto di umidità” è una sineddoche al vetriolo,
in cui a ogni parte del corpo corrisponde un atteggiamento ostile: l’occhio che
guarda la “roba espropriata per carità”, ovvero le ricchezze della Chiesa; il
braccio che colpisce “angeli e galeotti/assetati di sole”, il “culo” che “non
ha storia”, è “un infortunio sul lavoro”, appannaggio dei poveri “in cerca
d’identità”. Si prosegue con “La storia”, in cui l’interrogativo esistenziale
sul rapportarsi agli avvenimenti diventa sarcastica escursione nel vocabolario
(come porci con la storia? Come porci, orci, sorci, occhi?) per invitare a un
approccio tutt’altro che passivo, senza dimenticare che “tutti i capi sono rei”
e dunque solo chi ha un atteggiamento critico verso il potere non ne è
schiavo.“Azzerare i lazzaroni” è uno degli scopi di “Mutazioni”, in cui il
ritmo martellante che culmina nel titolo rovesciato è uno sprone a cambiare se
stessi e il proprio contesto e con la stessa energia sono ribaltate le
categorie di genere in “Io sono una carta”. Un dolente senso di riscatto
civile è alla base di “La bella addormentata”, ovvero la pace, vegliata, non a
caso, da donne che nel sepolcro attendono pazienti il suo risveglio (Binga non
perde mai d’occhio i molti ostacoli che impediscono tuttora alle donne di
realizzarsi e realizzare qualcosa che duri). Oggetto di lucida derisione è
infine la retorica fuorviante e deformante del politichese in “Porcondiciò”,
opera tutta basata sulla questione delle “ruote rosa”, “le ultime ruote del
carro”, con la speranza che il “Porcondiciò” diventi par condicio. Il messaggio
è più che chiaro: attraverso un uso funambolico della lingua, l’autrice vuole
una piena affermazione della dimensione femminile del vivere, in poche parole
della libertà, della creatività, dell’impegno a non tradire la propria natura.
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