Termini dialettali che hanno
il fascino di formule magiche. Nessun diaframma tra essere umano e paesaggio.
Una salda fiducia nella capacità di costruire propria delle mani e del
linguaggio in quel continuo oscillare tra disperazione e speranza che è la
vita, anche se non c’è posto per le illusioni. Ha convinto del tutto la platea
del Piccolo Teatro del Giullare “N’hanno fatto crerere paravisi”, lo spettacolo
diretto e interpretato da Andrea Paolotti, che ha recitato insieme a Michele Di
Stio e Maria Scorza, autrice della drammaturgia. La messinscena è avvenuta
nell’ambito dell’iniziativa “Tra scrittura e performance” ideata da Vincenzo
Albano, direttore artistico di Erre Teatro e già ideatore del progetto
Teatrografie 2013. In
quella che si presenta a tutti gli effetti come una fiaba, il titolo allude ai
miraggi di un egoismo senz’altra prospettiva che se stesso che ha
progressivamente distrutto il mondo, ripiombando tutto e tutti in un contesto
primitivo, si potrebbe dire pre-logico. Nei momenti cruciali i personaggi
emergono come fotogrammi nel buio attraverso una parete divisoria trasparente,
come se la loro individualità dovesse lottare per imporsi sull’oblio che
rischia a ogni passo di inghiottirli. Asteria (un Michele Di Stio che affascina
perché costruisce nei minimi dettagli la credibilità del personaggio) è una
donna che strappa alla terra i suoi frutti grazie alla nipote Demetra (la
stessa Scorza, che interpreta anche la scaltra Leto) e Glauco (Paolotti, che
esprime tutta la fresca esuberanza della gioventù e la sfrontatezza del Soldato
che tenta continuamente di depredarli). La pagnotta venerata da Asteria rimanda
a un’era pagana, lontana dalle trappole della modernità. Poiché però il bisogno
di sopraffare riemerge ciclicamente, la vecchia si scopre nemica della più
naturale delle forze, l’amore, perché tutta protesa verso l’esigenza di
accumulare. Si assottiglia dunque la differenza rispetto a Leto, che pretende
di leggere il futuro nelle carte ma è efficacemente mostrata come una figura
dalla vista incerta, perché concentrata solo su di sé. E quando i perosnaggi in
lotta saranno travolti dal fiume, simbolo della forza cieca e irresistibile
della natura, rimarrà Demetra a fare del racconto la base per costruire il
futuro. In questo elogio dell’oralità e della concretezza, non c’è posto per la
retorica o il buonismo. La parola, madre e figlia del pensiero e delle arti,
genererà di nuovo la luce dove rabbia e rapacità hanno portato le tenebre.
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