“Aprite!”. La
voce riecheggia a sipario chiuso e tutta la pièce sarà un tentativo di evadere:
dal peso del passato, dall’ostilità degli uomini, dal desiderio che sovverte e
allontana dal raziocinio, ma non si sfugge alla mente e ai suoi inganni. Il “Casanova”
di Ruggero Cappuccio diretto da Nadia Baldi, in scena al Teatro Verdi di
Salerno fino a domenica 15 marzo, è la storia di un uomo che scopre nella
prigione fisica (il castello del Conte di Waldstein in Boemia) una prigionia
mentale a cui può opporre solo la fedeltà a se stesso. Roberto Herlitzka, nel
restituire al celebre libertino un’autenticità dolente e ironica che dissove
qualunque diaframma col pubblico, agisce in uno spazio privo di specifiche
connotazioni dove, tra ampi tendaggi, l’ambito atemporale si presta a una resa
dei conti in cui ogni uomo potrebbe riconoscersi. Le cinque donne al suo fianco
(Franca Abategiovanni, Carmen Barbieri, Giulia Odori, Rossella Pugliese, Marina
Sorrenti), marionette dai movimenti meccanici che prendono progressivamente
vita, sono gli specchi in cui il gentiluomo è costretto con riluttanza e poi
con passione a riconoscersi. Da oggetti divengono soggetti, si lasciano
forgiare dai suoi stati d’animo per poi divenire giudici inesorabili come
sempre accade nel gioco tra sedotto e seduttore. Ricostruiscono con lui eventi
cruciali della sua vita (la fuga da Piombi, il duello in Polonia, le relazioni
amorose) spargendo fogli sul palco, perché la memoria è un mosaico i cui
frammenti si frantumano e si ricompongono con la facilità con cui quel che è
sepolto risorge. Si ergono come su di un piedistallo, quasi colonne d’Ercole in
cui racchiudere il suo mmaginario, lo cavalcano come nel più impudico degli
amplessi o avvertono nella propria carne le sue frustrazioni o i suoi entusiasmi,
complici e persecutrici al tempo stesso. Materializzano aspirazioni e tormenti
e lo conducono a difendere quell’insaziabile voglia di vivere che lo ha portato
ad attraversare corpi, esperienze, miseria e grandezza, la stessa voglia che lo
ha spinto a essere uno scrittore schiacciato dalla maschera del dissoluto che
un mondo cieco ha preferito cucirgli addosso. Ed è la nostalgia di un impeto
ardente a spingerlo a cercare la mano della Straniera (la morte, naturalmente),
mentre una delle donne resta sospesa a un drappo rosso: nulla è più fragile di
un’esistenza, sempre in bilico sul nulla e sul crepuscolo dei propri
sogni.
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