Che le luci del palco si accendano
su una madre vestita da gallina non deve stupire. La cova e la crescita del
proprio piccolo comportano la stessa cura, la stessa passione, la stessa
devozione. E niente e nessuno deve intromettersi in questo perfetto equilibrio.
Accolto con entusiasmo presso il Piccolo Teatro del Giullare, “Il chiodo fisso”
di Manlio Santanelli conferma la vocazione del regista Antonio Grimaldi
all’esasperazione giocosa (e dunque di immediata presa) delle componenti
grottesche di un testo che, nel suo amore per la concretezza, tratteggia in
modo implacabile un’ossessione. Non è certo un’impresa da mammole difendere il
frutto del proprio ventre: suoni e punteggi da videogioco ne sottolineano
comicamente la dimensione eroica. Le difficoltà sono infinite. Dal carrozzino
azzurro al fianco della genitrice uscirà un giovane allontanato da scuola,
sport, divertimento, ragazze? Ed eco che la protagonista si trasforma in
cultrice dello sport, frequentatrice di discoteche, entraineuse, portabandiera
della Vergine contro la tirannia del servizio militare, pur di impedire al suo
“ranocchietto” anche solo di immaginare uno spazio alternativo a quello della
propria casa. Anna Rita Vitolo dà prova di straordinaria versatilità
nell’illustrare la folle tenacia del possesso, mentre la distanza tra chi
osserva e l’assurdità del gioco si assottiglia attraverso il sarcasmo (“Je
t’aime, moi non plus” come colonna sonora dell’alcova domestica, per esempio).
L’ottusità di chi non concepisce altro da sé si manifesta anche nella straniante
trattativa intavolata con una spettatrice per assicurare un costante sostegno
sessuale al prediletto così da evitare
distrazioni (un’immigrata, ovvio: cos’altro aspettarsi da quel tipo di
donna?) salvo tornare sui propri passi, temendo che il rimedio sia più
pericoloso del male. È del resto proprio di una mentalità asfittica come quella
borghese escludere dal proprio orizzonte chiunque osi spingere lo sguardo verso
il proprio orticello. Ma eco il re di tutti gli ostacoli: l’Amore. Il
matrimonio. Magari proprio con la compagna di banco che si era fatto di tutto
per allontanare: uno scacco che mostra come la sessualità del rampollo sia
rimasta alla fase pre-adulta. Bisogna dunque darci, alla lettera, un taglio.
Vestita da Wonder Woman, data la grandiosità della prova, ecco che la nostra
antieroina si avvicina al bimbo con un paio di forbici. La castrazione riflette
la preclusione della crescita che si ha quando non esiste altro che il proprio
oggetto del desiderio. E mentre si ride non si può non pensare che un mostro
sia la deriva che può attendere chiunque.
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