Emerge immobile
dalla tappezzeria di cui è rivestita. Recita “Io sono una carta” dove, in un
crescendo di tensione, l’innocuo materiale si trasforma in una cartuccia da
sparare, abbandona su una sedia a dondolo il suo abito e lascia la scena. È il
1977 e Tomaso Binga, al secolo Bianca Pucciarelli Menna, sta conducendo la sua
personalissima battaglia in difesa di un’idea allora tutt’altro che assodata:
la donna come soggetto attivo di ogni percorso sociale e non semplice oggetto
di una visione maschile. E lo fa reinventando il linguaggio perché diventi
piena espressione di libertà attraverso differenti modalità espressive: un
legame con il palco in cui tutto sia di continuo reinventabile, l’Alfabetiere
Murale (le lettere sono espresse dal suo corpo), il Dattilocodice (la
sovrapposizione di lettere alla macchina da scrivere per un’iconografia
emozionale) e la musicalità mai addomesticabile della poesia sonora, per citare
solo alcuni esempi. Il suo percorso è illustrato nell’agile volume della
collana Il presente dell’arte edito da Plectica, “Scritture viventi” a cura di
Antonello Tolve e Stefania Zuliani, autori
tra l’altro di una bibliografia ragionata estremamente puntuale. Zuliani
ricorda come Binga abbia sempre sovvertito la concezione artistica in nome di
una contaminazione che si facesse discorso aperto e coinvolgente del senso del
corpo e della parola. Il dialogo multiculturale diviene sistematica messa in
gioco del sapere nel centro culturale diretto dall’artista, il Lavatoio
Contumaciale a Roma che Lorenzo Mango ricorda come spazio “che si inteatra, si
disegna come teatrabile”. Il filo che unisce Binga ad Artaud è enucleato da
Pierfrancesco Giannangeli, dato che il “linguaggio fisico a base di segni e non
più di parole” diviene la peculiarità di una performance in cui poesia e ironia
aprono infinite possibilità di approccio al reale. Che il segno linguistico sia
da sempre per questa artista un terreno da conquistare a una risemantizzazione
che annulli ogni mediazione tra carne e vocabolo, tra immagine e fonema è una
scelta oggetto della riflessione di Tolve. L’ampia antologia critica esamina la
produzione di Binga tra gli anni 70 e il 2000. Ermanno Migliorini pone
l’accento su come in lei la scrittura smantelli la specificità dell’elemento
artistico per aprirlo a nuove capacità interpretative, Giulio Carlo Argan nota
come “la regressione della parola a segno” ampli il raggio della comunicazione,
Giorgio Cortenova si sofferma sull’attitudine del significante ad espandersi,
tracciando nuove vie alla percezione. Romana Loda ricorda come la concretezza
fisica dell’artista opponga la totalità della persona all’astrazione in nome di
un’umanità da preservare. I versi di Vincenzo Agnetti narrano “di belle cose
seminate con le dita/ sul proprio corpo come altra terra”, mentre il
Dattilocodice è per Italo Mussa il luogo di una mutazione polisemica basata
sulla disappartenza della lettera a se stessa e per Mirella Bentivoglio ricorda
l’origine pittografica della lingua. L’empatia e la paziente costruzione di prospettive
contro tutti i vincoli animano “Ti scrivo solo di domenica”, la perfornance
analizzata da Gillo Dorlfes. In un anno di corrispondenza con un’amica a cui
sono inviati sette biglietti alla settimana, solo il settimo contiene un
messaggio, dato che la domenica è l’unico giorno di genere femminile. Il tempo
diviene cosi spazio di urgenze e sensazioni che rivendicano il diritto a
riscrivere la vita. La desemantizzazione orchestrata da Binga contro una stasi
in realtà fortemente ambigua del dato grafico è un aspetto cruciale secondo
Elverio Maurizi e Francesco Moschini si misura col passaggio dalla piena
identificazione tra opera e creatrice al rarefarsi magmatico della forma nel
ciclo dei Biographic, in cui più che vocazione alla pittura si ravvisa un
dinamismo refrattario alla tirannia della categoria. Paolo Balmas evidenzia a
sua volta la libertà che la scrittura sa attuare nel farsi corpo e nello
scrivere “Mimando il conturbante rende presente il disturbante” Cesare Milanese
fotografa l’essenza del suo itinerario. La sperimentazione continua di mezzi
artistici per rendere il gesto e il suono armi contro ogni ipocrisia e violenza
occupa la riflessione di Angelo Trimarco, cosi’ come l’impegno in vista di una
società migliore è la traccia che Francesco Muzzioli segue nel considerare
significato e significante pedine di un gioco in cui Binga investe tutta
l’energia propria di chi vuole fare dell’arte l’ambito di un pensiero non
allineato.
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