Bukowski diceva che lo
scrittore è come una puttana: lo usi e poi te ne scordi. Ma solo chi scrive può
conoscere (e riconoscere) il respiro di una storia che è solo sua, che è nata
dalle sue viscere e nessun ladro, per quanto lavori di fino, può contraffare un
legame simile. Monica Guerritore costruisce con dolente e sagace intensità la
protagonista di “Qualcosa rimane”, lo spettacolo da lei diretto presso il
Teatro Verdi. L’opera di Donald Margulies nella traduzione di Enrico
Luttman affronta, attraverso i personaggi di Ruth, scrittrice di successo, e
dell’allieva Lisa (una Alice Spisa che veglia costantemente
sulla credibilità del suo ruolo), la costruzione del mondo narrativo, il
passato che torna a innervare il presente, l’ambizione e la necessità di non
tradire né tradirsi. Tutto si svolge nella casa dell’artista, con cui
quest’ultima tende a identificarsi (lì sono le tracce dell’ansia di vivere
propria della beat generation e dell’amore molesto per Delmore Schwartz, il
genio che l’ha consumata e spinta a scrivere) perché la ragione di ogni
scrittura si cerca nel proprio intimo, tra ciò che è familiare e la scena è
anche il ventre in cui prendono forma lo stile e la personalità della giovane
figlia/sorella/amante/rivale. Le due restano distanti nella concezione del
tempo: è la scuola presso cui impariamo secondo Ruth, il segreto di ogni
autocoscienza, mentre secondo Lisa è la distanza dal successo che va colmata
con la pazienza e l’inganno. Sarà proprio il tempo a beffarle entrambe. La
donna proverà la gioia e la frustrazione di aver rivissuto nella sua prediletta
l’emozione del successo, per poi scoprire di aver sprecato energie dinanzi a
un’egoista. La ragazza, che porrà senza scrupoli al centro del suo romanzo il
vissuto di Ruth, sarà inchiodata alla sua “brutta imitazione” e anche le sue
ore la condurranno a un vicolo cieco. Quando Lisa legge stralci del suo libro,
lo fa a sipario chiuso: il pubblico deve ignorare il raggiro che il trionfo
nasconde. Ruth avanza dal fondo della sala per smascherarla, non soltanto
perché i riflettori non sono più puntati su di lei, ma perché ogni redde
rationem nasce dal buio della coscienza. Nel vendersi al pubblico, la nuova
scrittrice non è riuscita nel suo intento. Il tempo di una donna non potrà mai essere quello di un’altra. La
neve che cade nell’appartamento di Ruth, ormai morta, ricorda che sono le
parole-che accompagnano fuori campo l’azione sul palco come un risvegliarsi
dell’anima- a dare senso allo spazio e ai corpi che lo attraversano. È la loro fragile eco a rimanere.
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