L’alienazione
è contagiosa. Attraversa corpi e stagioni della vita, fiorendo indisturbata tra
le mura domestiche. Applaudita dal Teatro del Giullare di Salerno nell’ambito di Mutaverso, la
stagione diretta da Vincenzo Albano, la compagnia pistoiese Gli omini ha
proposto “La famiglia Campione”: nomen omen, dato che rappresentano il
prototipo del nucleo familiare di oggi proprio nell’assurdità dei loro comportamenti.
Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Luca Zacchini, che sono attori e
interpreti con Giulia Zacchini, creano personaggi che non si dimenticano
attraverso efficaci sfumature, incarnando a turno tre generazioni in un quadro
che non ha nulla di rassicurante. La casa è quanto mai affollata: un nonno che
vorrebbe vedere slanci nei giovani, un altro che ricorda con rabbia il passato,
una nonna che passa la vita tra preghiere e moniti, Luana e il suo rancore
verso il quotidiano, divorziata da Marcello, annichilito da una vita
imprigionata, e risposata con Giancarlo, ubriaco del proprio ego, lieto di
avere nel primo marito della donna la sua vittima prediletta e padre di Enrico,
che nasconde la fragilità sotto la supponenza. I figli di Marcello sono Dario,
ribelle senza causa, Mara, alle prese con una femminilità problematica, Bianca,
non tanto una voce, ma un silenzio fuori dal coro. Ogni figura è inchiodata
alla sua condizione con un’amarezza che non è meno viva se mescolata a un
sarcasmo che non fa sconti a nessuno. Il ricorrere di gesti ed elementi, come i
tristi gilet passati da un figlio all’altro, la busta che Marcello porta con sé
per fare doni improbabili ed essere finalmente accettato, le mele mangiate con
avidità o nervosismo alludono all’impossibilità di evadere da quella prigione
che è la famiglia. Anche il viaggio a Dubai di Enrico appare una velleità più
che un proposito. E se la casa è simbolo di un’immobilità mentale, l’unica
risposta è mutare senso alla reclusione, che diviene spazio del proprio essere
precluso a chi non comprende. Bianca si chiude in bagno senza comunicare con
nessuno. L’unico segnale, non a caso, sarà “Summer on a solitary beach” che
allude a un benefico naufragio e scatenerà l’inutile entusiasmo di Dario, che
si limita a un tragicomico disprezzo del contesto. La giovane uscirà per
mangiare una mela e si rinchiuderà di nuovo. Le parole sono inutili. Mai
perdere di vista le porte chiuse. Veleno e frustrazione, quasi sempre, abitano
lì.
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