Davvero
curiosa, la vita sul nostro pianeta.
Contraddittoria e fragile. O almeno, così la vede un’aliena che non
poteva sopportare l’odore dell’umanità e ora invece è lieta di esserne
impregnata. Con la performance “Torno
sulla Terra” , Francesca Romana Miceli Picardi ha vinto il contest “La terra
senza palco” nell’ambito del Festival Linea d’Ombra. La kermesse, a cura di Antonello De Rosa e
presentata da Pasquale Petrosino presso la Sala Pier Paolo Pasolini, ha visto
impegnate tre compagnie in esibizioni di venti minuti, prive di supporto audio
e diretto contatto con il pubblico, ma in grado di avvalersi di
videoproiezioni. Nella registrazione di comportamenti, ossessioni, debolezze che
appaiono completamente nuovi nell’ottica di uno straniamento ironico ma
tutt’altro che inoffensivo, gli atti dei nostri simili sono catalogati con
un’immediatezza che polverizza ogni ambiguità (“Squali umani sbranano l’uomo
senza far uscire il sangue”, “Guerra: gioco politico a squadre. Regole: vince
il più forte. Premi: nessuno). E mentre alle sue spalle scorrono immagini di
umani che annegano nella solitudine o cercano un contatto che li renda vivi, la
protagonista, teneramente partecipe dietro il distacco della studiosa, si
lascia sedurre proprio da ciò che non è catalogabile (la neve, la musica, il
bisogno di ricominciare), lasciando intuire che concedersi un domani, un
altrove è il primo passo verso la felicità, anche quando l’altrove è a un passo
da noi. Muovendosi tra il “Viaggio in Italia” di Goethe e le “Ventimila leghe
sotto i mari”, Cinzia Antifona, Valentina Greco e Francesca Pica hanno
attraversato- come viaggiatrici incantate e al tempo stesso profondamente
consapevoli- i quattro elementi in “Countdown” della Compagnia PolisPapin fino
a giungere alla dissoluzione del mondo siglata dalle ultime parole de “La
coscienza di Zeno”. Fiori distrutti,
sacchetti d’acqua nella veste, la dolente partecipazione al volo di Icaro
(mentre le immagini alludono a disastri ambientali e avidità in figure
stilizzate e in un cromatismo che diviene sempre più cupo) esprimono la
necessità di fondersi con la natura e l’inesorabilità di un percorso di morte
frutto di caparbio egoismo. “Dentro la scatola” di e con Antonio Grimaldi ha
posto l’accento sulla fossilizzazione dei ruoli maschili e femminili, evocata
da immagini di scheletri costretti in camicie di forza: non esiste infatti
prigione più difficile da abbattere di un pregiudizio. Elvira Buonocore ha dato
tutta se stessa alla donna che si muta in bambola per compiacere un uomo che la
controlla attraverso un carillon e indossa una maschera di gorilla (dove le
persone diventano oggetti, l’istinto non coglie altro da sè). Quando il
carillon è chiuso, l’attrice si esprime attraverso battute di film famosi: il
momento della crisi ne “L’ultimo bacio”, l’addio a Reth in “Via col vento”,
dove la celebre frase “Domani è un altro giorno” è significativamente troncata
proprio sull’avverbio “domani”, la morte
dell’androide in “Blade runner”. Le battute alludono tutte a una svolta
dolorosa, a un punto di non ritorno e i tentativi del “giocattolo” di
riscoprirsi donna sono destinati al fallimento. Il lancio di arti finti verso
il compagno è un rabbioso rinfacciargli la sua visione a senso unico e quando
si mette in vendita in un supermercato con tanto di megafono evidenzia la
totale mancanza di dialogo in una realtà claustrofobica: non a caso la scatola
che la contiene ha tutta l’aria di una bara. E il pianeta più difficile da conoscere
resta la mente, così abile a tendere trappole lungo il proprio percorso.
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