Accogliere
l’unico nipote rimasto orfano, ultimo rampollo del proprio sangue? Scelta nobilissima,
soprattutto se si ha il pessimo gusto di non essersi riprodotta, colpa
rimproverata alla protagonista dai genitori defunti: il piacere di sputare
sentenze val bene il ritorno dalla morte. Le aspettative però andranno
amaramente in frantumi. Proposto al Centro Sociale di Salerno all’interno di
Mutaverso, il progetto teatrale di Vincenzo Albano, “La buona educazione”,
diretta da Mariano Dammacco, è il tagliente monologo in cui Serena Balivo crea
la fertile inquietudine del suo personaggio sotto un atteggiamento all’apparenza
a senso unico (voce cadenzata, movimenti misurati, sguardo che esprime la
fatica del controllo). Gli automi attorno alla donna nel suo salotto di altri
tempi (perché è antica la sua voglia di educare secondo un’etica) preannunciano
una società in cui tutto è catalogato e incasellato tranne dare il meglio di sé:
il bando per ottenere l’affido del giovane, identificato solo come “il ragazzo”,
la giuria popolare che osserva voracemente la vicenda, la visita della
psicologa simile a un’operazione chirurgica. Se però la zia conosce un’evoluzione
psicologica dall’amore per la solitudine all’empatia, non si può dire lo stesso
dell’incongruo ammasso di ormoni piombatole in casa: un no lo trasforma in un
indemoniato, si esprime all’infinito, non ha priorità oltre l’uso del wi-fi. E poiché
il feroce sarcasmo della vicenda non prevede che i morti siano più saggi dei
vivi, lo spettro della madre del giovane non lesinerà effetti da grandguignol
per scoraggiare la sorella dall’iscriverlo al liceo classico. Ciò che non è
produttivo non ha motivo di esistere. E allora la faticosa intesa, frutto di
comici tentativi di dialogo, fallirà, perché il giovane non saprà che farsene
della dedizione di chi ha voluto vedere in lui una persona. La terra sparsa sul
palcoscenico è d’altronde indizio dei nostri tempi: non porta in grembo alcun
raccolto, ma seppellisce il bisogno di essere.
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