Spaziare da Fellini a Gigi D’Alessio strizzando
l’occhio al trio Lescano e a una Wanda Osiris en travesti? Tutto è possibile
quando a farla da padrone è uno spudorato senso del gioco. Nell’applaudito
“Servo per due”, applaudito al Teatro Verdi di Salerno,
Pierfrancesco Favino, protagonista e regista con Paolo Sassanelli, rende
omaggio alla Commedia dell’Arte, esaltando tutte le potenzialità espressive del
corpo dell’attore, che si fa saltimbanco, mimo, tenero innamorato, burattino
pasticcione, inno vivente alla voracità. Nell’adattamento di “One man, two
guvnors” di Richard Bean (ispirato all’”Arlecchino” goldoniano) che lo ha
impegnato con Marit Nissen e Simonetta Solder, oltre allo stesso Sassanelli,
l’interprete è Pippo (nomen omen, data la sua capacità di agire puntualmente in
modo illogico) che nella Rimini del 1936 deve destraggiarsi tra due padroni che
si scopriranno essere due fidanzati sotto mentite spoglie. La trama è però solo
un pretesto che asseconda la dimensione totalizzante dello spettacolo,
l’allegra celebrazione della finzione che, anche e soprattutto nel
coinvolgimento degli spettatori, esalta il carattere fittizio di tutto quel che
si muove in scena. Ecco allora che la nave di “Amarcord” o l’intonare una
canzone di D’Alessio con tanto di illuminazione da discoteca rientrano in una
dimensione circense paga di se stessa. Il repertorio di inseguimenti,
travestimenti, doppi sensi, porte sbattute in faccia con la precisione di una
partitura non conosce un attimo di cedimento grazie al cast del Gruppo Danny
Rose che ispira la sua recitazione al jazz, dove l’unità non può fare a meno di
forze all’apparenza centrifughe. E poiché l’unico comandamento è divertire, i
pezzi forti dell’epoca, come “Maramao” o “Baciami piccina”, ironicamente interpretati
dal gruppo Musica da ripostiglio, come le coreografie che scandiscono la
narrazione, non sono semplice omaggio al passato, ma bisogno di riscoprire la
leggerezza del varietà.
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