Dura la vita per
un ciarlatano che si affida ad espedienti. Ancor più dura se il complice di
vecchia data non si presenta in teatro per tenere bordone ai suoi giochi di
prestigio. La comparsa di un passante che possa sostituirlo sembrerebbe salvare
la situazione, ma la sua dabbenaggine e l’arrivo dell’aiutante, più che mai
deciso a non mollare la presa, innescheranno una serie di situazioni
esilaranti. Fedele alla prima versione della commedia eduardiana datata 1929,
che racchiude la vicenda in un atto unico, Pierpaolo Sepe dirige un Benedetto
Casillo perfettamente consapevole del proprio ruolo in “Sik Sik, l’artefice
magico”, di scena al Teatro Ghirelli fino a domenica alle 18.30. La produzione è della Fondazione Salerno Contemporanea con
la Fondazione
Campania dei Festival – Napoli Teatro Festival Italia, in
collaborazione con Benevento Città Spettacolo. Come sempre accade nell’autore,
di cui ricorre il trentennale della morte, la comicità ha un fondo amaro, il
sorriso è sempre accompagnato dalla sensazione che le cose racchiudano comunque
un fondo oscuro difficile da esorcizzare. I battibecchi tra il prestigiatore e
la moglie che attende un figlio (un’Aida Talliente estremamente credibile
nel suo destino di donna consumata dalla vita) sono costruiti con
precisisissima attenzione ai tempi comici dietro cui si intravedono ore di
risentimenti e solitudine. In Eduardo ciò che è assolutamente realista (la
gravidanza, in questo caso) si presta senza alcuna forzatura ad accogliere un
senso ulteriore (la promessa di una vita migliore al di là da venire). I
comprimari si rivelano pienamente all’altezza del compito curando ogni
dettaglio della propria interpretazione: Roberto Del Gaudio è un irresistibile
pasticcione e Marco Manchisi ha tutta la buffa dignità di chi si
sente spodestato. La scenografia di Francesco Ghisu trasforma il retro del
teatro in una sorta di scatola magica, il palcoscenico le cui pareti sono
ispirate all’arte espressionista attaverso un gioco ipnotico di geometrie
intrecciate. E quando i contrasti tra i due assistenti compromettono lo
spettacolo, il protagonista cerca pateticamente di trasformare in un trionfo la
rovina. Se dunque da un lato è centrale un tema caro allo scrittore, la
sconfitta, dall’altro l’allestimento ricorda come l’illusione teatrale-anche
quando è imperfetta e fragile- è l’unico contraltare a un’esistenza che troppo
spesso bara, in modo assai subdolo, con chi la vive.
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