Un’arguta investigatrice e
scrittrice (Amelia Imparato, attenta a ogni sfumatura del suo personaggio);
un’assistente giovane e ingenua (Caterina Micoloni,
che convince con la sua freschezza); personaggi alquanto curiosi (Augusto Landi, Andrea Bloise, Rocco Giannattasio, Alfredo
Micoloni, ironici e affiatati); il microcosmo per antonomasia, lo
scompartimento di un treno che si fa scenario di un truce delitto ed ecco tutti
gli ingredienti di un giallo che omaggia i tempi d’oro della radio. Nel libero
adattamento di un testo di Ellery Queen, la regista Brunella Caputo offre in
“Omicidio sul treno verso est” (di scena al Piccolo Teatro del Giullare l’11 e
12 gennaio rispettivamente alle 21 e alle 18.30) un radiodramma basato su di un
vivissimo senso del gioco. Gli attori rompono da subilto l’illusione scenica,
presentandosi nelle vesti di se stessi e assecondando con allegri movimenti
negli intermezzi musicali il fascino assoluto del suono, che sia un brano di
Armstrong o la capacità comunicativa della sola voce. Un sedicente professore,
Marcel Dubois, lamenta la scomparsa di un rasoio dal lungo manico. L’oggetto
non potrebbe essere ritrovato in luogo più macabro, dato che ricompare piantato
nella schiena di George Latham, un
eccentrico viaggiatore che si rivelerà ladro di preziosi smeraldi alla cui
caccia si lanciano le protagoniste. Il quadro dei sospetti è variegato: Lily
Dodd, star del cinema sul viale del tramonto, Henry Staels, all’apparenza l’uomo più
tranquillo del mondo in luna di miele, tre strani figuri inseparabili dai nomi
più falsi di Giuda come Smith, Jones e Brown. E su tutto incombe il sospetto
che la vittima designata fosse un’altra. In quel libero esercizio
dell’inttelligenza che è ogni racconto del mistero (punteggiato dalle luci e
musiche di Virna Prescenzo), è il pubblico stesso a
indicare movente e colpevole: una scelta coerente con l’impostazione dello
spettacolo. Gli ascoltatori infatti percepiscono un piacere ancora maggiore del
semplice spettatore, perché ogni parola, ogni informazione, può condurre fuori
strada o contenere in sé la verità. Ne emerge un amore rinnovato per il testo,
per la fluidità narrativa, per una suspense all’apparenza retrò ma di fatto moderna
nel rafforzare quanto di meglio si possiede, ovvero le celluline grige, per
dirla con Poirot. E non sfugge la natura sostanzialmente consolatoria del
giallo, dove (almeno lì) la logica ha la meglio su tutto: lestofanti, bugiardi,
assassini e miserie.
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