Storie dall’impianto
narrativo solo apparentemente semplice sono spesso destinate ad abitare a lungo
la mente di chi le legge. È il caso di “XXI Secolo” di Paolo Zardi. Mentre
miseria e violenza divorano tutto, il coma in cui cade la moglie del
protagonista lo costringe a riconsiderare tutto ciò che ha vissuto. All’interno
di un percorso creativo che ha il suo epicentro nel momento in cui le maschere
crollano, l’autore si misura in modo ancora più ambizioso che in passato col
doloroso momento della dissoluzione e con gli echi che essa lascia in chi la
vive. Raccontare la disperazione espone al rischio dell’enfasi, ma la scrittura
di Zardi è felicemente immune da questo pericolo. Anche quando si inoltra in
analisi che sgomentano per la profondità di quel che cercano e rivelano ("XXI
Secolo" non è un libro da comodino, i lettori passivi possono tranquillamente dedicarsi
ad altro), lo stile possiede una concretezza ruvida e tagliente che abbatte
qualunque diaframma tra chi legge e ciò che viene letto: lo si avverte nella
propria carne. Attraverso sotterranee analogie il momento della crisi sembra
dilatarsi all’infinito. Eleonore soggiace a un’insidia che nasce dal proprio
corpo come l’Occidente ha nella propria rapacità il germe del suo male. Il
protagonista che vende apparecchi per depurare l’acqua porta a porta vuole
diffondere linfa vitale nel corpo come desidera che gli affetti restino vivi e
protetti nel tessuto dei giorni. Mentre però l’Occidente è sepolto nel
fallimento e dunque la sua immobilità è percepita come inaggirabile, quella di
Eleonore manda in pezzi ciò che era considerato saldo e al riparo da pericolosi
mutamenti. La sua è un’immobilità antifrastica, che allude al proprio opposto,
mostrando la fluidità, l’incostanza, l’imprevedibilità di tutto quello che
coinvolge un’anima.
La voce narrante è coerente
con l’ampiezza del disegno. Ne "Il signor Bovary" l’immedesimazione nella figura
principale (altalenante e ambigua come tutti i bisogni umani) era motivata da
un redde rationem legato a quanto di
più intimo si possa concepire, il desiderio, e nasceva soprattutto da un
approcio problematico con la scrittura, che è rivelazione mai salvifica del
disagio. In "XXI Secolo" la resa dei conti ha assunto dimensioni planetarie, dato
che l’Occidente ha sempre preteso di essere l’ombelico del mondo e la ricerca
di senso diviene così pressante che si impone un tipo di narrazione capace di
abbracciare il singolo e la collettività. Si moltiplica lo sguardo, dunque,
perché si moltiplicano i naufragi.
Zardi è stato sempre
affascinato dal concetto di limite perché in esso, come in una
consustanziazione laica, si attua in pieno la natura umana. Il limite gravoso
che qui viene continuamanete riproposto è quello di una logica soffocata dai suoi
stessi tentativi di individuare, rivelare, decifrare. Anche il rapporto con
l’informazione -la vicenda del fantino vittima di un incidente, le notizie dal
mondo- conduce su una falsa pista, perchè quella che vorrebbe essere un’ottica
multipla, in grado di cogliere a ogni livello la complessità, è in realtà la
messinscena di qualcosa di cui si è persa la ragione ultima.
L’Occidente collassa perché
su di esso si accartoccia il suo limite, che è pretesa di imporre
un’omologazione del pensiero e del comportamento, ma pretendere che i rapporti
siano traducibili in chiare equazioni, in un sistema di causa ed effetto non
conduce da nessuna parte. Non si può ingabbiare un magma di sensazioni in una
categoria. Ecco allora che al limite inteso come superbia di ridurre il mondo a
se stessi se ne contrappone un altro, accolto a fatica e con disperata fiducia,
che dalla coscienza della propria fragilità fa germogliare la possibilità di
riscrivere la propria storia. Quel che confina in una condizione può divenire
un varco per aprire su quella stessa condizione occhi nuovi e riviverla al di
fuori di parametri soffocanti. Zardi non regala mai facili approdi o
scorciatoie consolatorie. Non sappiamo se l’amore sarà una via d’uscita.
Possiamo solo comprendere che quello che ci sottrae alla barbarie scaturisce da
quelle stesse viscere che ci spingono verso il baratro.
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