“Questa
roba deve valere qualcosa”. Sembra di veder brillare gli occhi di Esther mentre
osserva gli oggetti coperti da un telo in attesa di essere venduti. Ma in gioco
ci sarà molto di più. Accolto con favore dal pubblico del Teatro Verdi di
Salerno, “Il prezzo” di Arthur Miller è andato in scena per la regia di Massimo
Popolizio, che divide il palco con Umberto Orsini,Elia Schilton e Alvia Reale. Tutto
ciò che è nell’appartamento deve essere messo in vendita a causa della demolizione
dello stabile (i rumori delle esplosioni scandiscono la tensione del racconto).
Non è solo per ragioni sceniche che gli oggetti siano accatastati su un lato
del palcoscenico dinanzi al quale gli attori si muovono. Questa sistemazione
visualizza la polarità che innerva l’intera rappresentazione. Ciò che è in
vendita e ciò che non lo è (coscienza, affetti, tempo), ciò che può scomparire
passando da un padrone all’altro e ciò
che resiste tenacemente sotto la scorza dei giorni (i legami, i rancori): in
una parola la materialità e la spiritualità, anche se nella cornice impietosa
del dramma questi termini hanno ben poco di solenne. Se i beni, infatti,
ridotti soltanto a merce, non raccontano più un’appartenenza, le persone a loro volta vivono con il denaro il rapporto
ossessivo dell’ineluttabilità. Esther non vuole che il marito Victor vada al
cinema con la divisa da poliziotto: deve proprio far capire a tutti quanto
guadagna? Il fratello del protagonista, tornato a riaprire ferite anziché sanarle,
gli rinfaccia di essere stato un fantoccio nelle mani del padre accudito fino
all’ultimo giorno. Si scopre che quest’ultimo, non del tutto abbattuto dalla
crisi, era in possesso di una certa somma di cui era comunque ostaggio. La stessa
moglie del poliziotto è un’alcolizzata che non ha pareggiato i conti con la
precarietà e Victor, che si è cullato nella dedizione al padre, vede nel
disastro dei rapporti familiari quanto sia compromesso quel bene incalcolabile che
è la possibilità di fare della propria vita quel che si vuole. Umberto Orsini,
il broker che si muove con la naturalezza di chi inquadra tutto nell’ottica del
dare e dell’avere, si ritrova testimone di una feroce resa dei conti. La recitazione
enfatica, innaturale evidenzia il bisogno dei personaggi di ancorarsi ad alibi
inconsistenti, finchè l’ostilità repressa li distrugge. Nella conclusione
sembra esistere una speranza per Esther e suo marito. Ma il balletto a cui,
ormai solo con la sua fonte di guadagno, Orsini si abbandona mentre le
esplosioni sono sempre più incalzanti, è un’immagine chiara: l’euforia non è
mai così viva come nel momento in cui sta veramente crollando tutto.
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