La chiave di volta è nella scena iniziale. Dando le
spalle al pubblico, l’uomo avanza lentamente verso il padrone abbandonato sul
divano e, un attimo prima che lo raggiunga, il sipario si chiude, per poi
riaprirsi così che la vicenda cominci. Una prefigurazione dei rapporti di forza
che è in fondo naturale: l’assedio psicologico
ha l’urgenza di manifestarsi, come qualcosa che pulsa sotto la carne e
pervade ogni cosa. Applaudito al Teatro Verdi di Salerno, “Il servo” di Robin
Maugham, diretto da Andrea Renzi e
Pierpaolo Sepe, presenta una salda coesione narrativa che fa emergere con raffinata
chiarezza la complessità delle relazioni tra i personaggi. Les Barrett (un Lino
Musella di raro carisma) sembra il servitore perfetto per il viziato e gaudente
avvocato Tony Williams (Renzi, credibile
e attento). Le sue premure sono tuttavia un mezzo per soggiogare il suo
principale, che si lascia lentamente irretire. Non si tratta però di una
dinamica asimmetrica: Tony non è la vittima ingenua delle manovre di un
manipolatore. Vuole Les nella sua vita con la stessa forza con cui quest’ultimo
lo attrae a sé e in vista di questo scopo, agli occhi del servo, le donne sono
ostacoli da rimuovere, come la fidanzata
Sally (Emilia Scarpati Fanetti, che costruisce con tenace energia il suo
ruolo) oppure diversivi che rafforzino il legame tra i due uomini, che si
tratti della donna di Les, Vera, o della seducente Mabel. Non è un caso che la
passionale Maria Laila Fernandez rivesta entrambi i ruoli: le figure femminili
non sono che pedine e dunque hanno tutte lo stesso volto e lo stesso valore in
questo gioco che fa emergere tensioni e desideri. Il protrarsi di Sally verso
qualcosa che la liberi all’inizio del secondo atto narra l’impossibilità di
sottrarsi a questa visione. La scenografia (una casa racchiusa in una sorta di
gigantesca scatola) evidenzia la prigionia dell’ossessione. Che appaia o meno, Barrett
riempie della sua presenza il palco negli sguardi che posa su Tony o nello
spingere i mobili sul proscenio, a indicare il controllo su tutto ciò che
circonda il padrone. Neppure Richard (un Tony Laudadio misurato e intenso),
legato all’avvocato da qualcosa che travalica l’amicizia, può infrangere la
simbiosi che, nella conclusione, pone di fronte i protagonisti a torso nudo prima
di congiungersi a Mabel. Si guardano sapendo che si perderanno l’uno
nell’altro. Il desiderio non subisce leggi: può solo imporle.
Nessun commento:
Posta un commento