Che ne è
della sacra parsimonia se si osa accendere una stufa in pieno inverno? E che
dire dell’esosa pretesa di fare un regalo a un cugino in procinto di sposarsi?
Ma il rapporto con le cose, si sa, riflette quello con le persone ed è lì che
il buio dilaga. Dirette da un Pierpaolo Sepe innamorato del loro talento, tanto
da lasciarle padrone della scena, Isa Danieli e Giuliana De Sio sono “Le
signorine”, protagoniste dello spettacolo basato sul testo di Gianni Clementi e
applaudito calorosamente al Teatro Verdi di Salerno. Prendendo le mosse da un
copione decisamente inferiore alle potenzialità delle interpreti, Addolorata
(di cui Giuliana De Sio tratteggia con assoluta consapevolezza il grigiore a
doppio fondo) è il bersaglio dell’avarissima sorella Rosaria (Isa Danieli, che
punta tutto con sagacia su un sarcasmo velenoso), tanto da chiudersi
nell’armadio quando il minuetto di battibecchi, frustrazioni e critiche
raggiunge l’apice. La paralisi che costringe in carrozzella Rosaria è un
contrappasso: l’accumulo di cibo che le è fatale riflette la scelta di
incamerare più quattrini possibili e la “zitella” giovane, che ha sempre
trascorso il suo tempo tra televendite, fiction e previsioni di maghi, può
finalmente darsi a spese pazze. Chi opprime e chi è oppressa rappresentano
tuttavia due prigioni allo specchio. Addolorata non conosce una libertà che la
proietti altrove: far pesare le proprie scelte sulla sorella le dà più piacere
delle scelte stesse, incapace di definirsi al di fuori di questo conflitto.
Anche l’uccisione di Rosaria non è una scelta autonoma, ma un tentativo di
difendersi da chi le ingombra i giorni e le notti (i sogni in cui è intimorita
e sbeffeggiata). La sua rivalsa è grottesca perché asfittica come il contesto
delle “signorine”, immobili per sempre nel pantano dei pregiudizi su se stesse
e sugli altri, in particolare sugli stranieri. La donna impersonata da Isa
Danieli, che ha fatto della prepotenza la sua religione, è a sua volta irrisolta
tra paure infantili, che la spingono a cercare rifugio nella sorella, e un
rancore mai estinto verso i genitori che, non vaccinandola, l’hanno condannata
a essere zoppa. Nascondere il cadavere di Rosaria nell’armadio non è solo la
soluzione più rapida ma anche la più naturale: corpi e anime non hanno mai
abbandonato quel ventre che è la casa e in questo limbo cieco parlare alla
vittima come se nulla fosse non è più astruso dei giochi da bambine presenti
nel finale. Certi armadi, come certe coscienze, non possono e non vogliono
essere aperti.
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