Opporsi
all’arte giovane e contemporanea non è affare per i deboli di cuore, come ben
sanno Leone Marco Bartolo, Dario Cadei, Carla Guido, Otto Marco Mercante,
Cristina Mileti, Giuseppe Semeraro, che è anche regista. Occorre essere pronti
a tutto, anche a recintare il pubblico con il nastro che si riserva alle scene
del crimine, senza risparmiare filo spinato. Bisogna amare fino al ridicolo,
fino allo spaesamento l’illusione che un palcoscenico abbia ancora qualcosa da
dire. Prova interpretativa di grande coinvolgimento, “I giganti della montagna
atto III”, proposto da Principio Attivo Teatro presso il Centro Sociale di
Salerno nell’ambito della quarta stagione di Mutaverso, diretta da Vincenzo
Albano per Erre Teatro, è un caustico tentativo di difendere “l’arte vecchia”,
ovvero pirandelliana, attraverso un ricorso iperbolico al linguaggio
metateatrale (che sarebbe ormai il caso di definire ultrateatrale) caro anche
agli artisti dei giorni nostri. Ricevuta l’investitura laica dalla voce fuori
campo di Pirandello (la narrazione al figlio Stefano dell’atto incompiuto), il
gruppo avanza al buio portando sulle spalle il corpo di Ilse, che intona
“Lascia ch’io pianga”di Handel. Le tenebre alludono alla cecità di un pubblico
estraneo al piacere di essere ingannato, che deve essere conquistato con una
canzone moderna enfatizzata da un selfie per entrare in contatto con gli
interpreti, e nel corpo della donna si riflette il sacrificio totale che il
mestiere di attore richiede. Mestiere tutt’altro che allegro, dato il
susseguirsi di gelosie, battibecchi, dispetti, fraintendimenti, proprio quando
al di là di un fondale illuminato la platea mugghiante ricorda un bestione
disposto alle barzellette ma non certo all’impegno. L’identificazione tra arte
e vita produce effetti dolorosamente comici: “Devo recitare io che recito o
devo recitare che devo recitare io che recito?” chiede Diamante, rincorsa tra
gli spettatori dal capocomico, perché sottrarsi alla recitazione significa
cadere nel buio sordo di chi vede solo le pareti del proprio stomaco. I momenti
in cui compare il fascino della parola e del gesto sono simili a fuori-onda,
inciampi lungo la via più facile per soddisfare i paganti. La vittoria
appartiene purtroppo ai giganti. Il gruppo scompare come è apparso, il fondale
crolla rivelando i nudi trucchi dell’allestimento. Se i presenti fingono di
essere lo scopo per cui il teatro esiste, che almeno la finzione di un palco
racconti un briciolo di verità.
Nessun commento:
Posta un commento