Dove
raccontare l’ostinazione della memoria, senza la quale nulla ha senso e peso?
In una casa di odori e colori testardamente vivi, che possano ricondurre lo
spettatore a stagioni proprie e altrui ormai lontane. Tra un grammofono, una
vecchia radio, un giradischi, tavoli severi e lampade calde va in scena
qualcosa che non si rassegna a morire. “Come va a pezzi il tempo” è la
performance proposta da Progetto Demoni a turni di cinque spettatori alla volta
in un’abitazione privata di Salerno nell’ambito di Mutaverso, il percorso
teatrale diretto da Vincenzo Albano. Sulle orme di Francis Scott Fitzgerald, si
assiste a quella che potrebbe sembrare la più ordinaria delle vicende, ma
l’inquietudine si annida nei gesti e negli sguardi. Dalla gioia iniziale
all’incapacità di riconoscersi, è la donna che invita a osservare da una stanza
all’altra un rapporto che si sfalda (Alessandra Crocco, così intensa che si ha
la sensazione che i suoi occhi siano ovunque, anche quando è “fuori campo”),
rivivendo il tormentato legame con uno scrittore in cui la mancanza di
ispirazione diviene afasia emotiva (Alessandro Miele, interprete generoso come
pochi). Lei è lo slancio vitale, che tra sfuriate e tenera attesa non teme di
ricominciare, di sottrarsi a una dimora che è un luogo della mente, il solido
ancorarsi al vissuto; lui è immobile in una storia che non prevede personaggi
diversi e si lascia consumare da una crudele amarezza fino al congedo
definitivo. Non ci si sottrae alla lenta tortura del tempo, al suo tornare
all’infinito su se stesso che trasforma la cenere in bisogno di rifiorire. La donna
ha in sé la vita di chi ha molto sperato e amato e la morte di chi non è
sopravvissuta ai propri sogni. Il libro ingiallito lasciato sul letto e il
telefono staccato dimostrano che ormai la casa è un reliquiario di sensazioni
perdute. I ricordi però fanno strani scherzi. Scompaiono, eppure eccoli lì, a
sbarrare il cammino o ad aprire nuove strade. Lei spegne le luci (non c’è più
nulla da proteggere), ma siede alla scrivania dove l’amante ha tentato
inutilmente di creare e dunque di vivere. Sarà forse lei a scrivere un diverso
epilogo. Dove tutto si conclude, si può ricominciare, anche se “è tutto più
buio/è tutto più scuro/è tutto più notte”.
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