Un
padrone inflessibile, come sostiene Manzoni? O un’imperdonabile volgarità, come
vorrebbe Wilde? Di certo, se il vero delitto è vegetare sul binario morto della
quotidianità o della logica più stantia, Achille Campanile è senz’ombra di
dubbio innocente. È un omaggio a lui “Delitti per gioco”, lo spettacolo diretto
da Brunella Caputo che ha aperto, presso la Chiesa di Sant’Apollonia, La notte
dei Barbuti, sezione del Barbuti Festival. “Delitto a villa Roung” e
“Misterioso uxoricidio in un caffè del centro o Una moglie nervosa” sono stati
proposti all’insegna di una leggerezza che sbeffeggia ogni convenzione sociale
e teatrale. L’elenco di citazioni sulla natura del delitto, da Balzac a
Morrison, e la minuziosa definizione di gioco, letti con intensità sacerdotale
dalla stessa Caputo, sono bruscamente interrotti dagli interpreti che, oppressi
da tanta cultura, la portano via di peso. L’aura del regista è quindi
sarcasticamente privata di ogni fascino, perché nessuna gerarchia resiste alla
spudoratezza del paradosso. Gli interpreti, che gareggiano in generosità ((Mimma Virtuoso, Renato Del Mastro,
Carlo Orilia, Alfredo Micoloni, Rocco Giannattasio, Augusto Landi, Matteo
Amaturo, Salvatore Albano, Teresa Di Florio, Concita De Luca e Andrea Bloise)
si scatenano in una briosa coreografia (curata da Virna Prescenzo insieme al
disegno luci e alla selezione musicale), che è autopresentazione, preparazione
dello spazio in cui agiranno e soprattutto desiderio di mostrarsi al pubblico
con la compattezza di un’orchestra, dove ognuno conta se in armonia con gli
altri. Che servano tramezzini agli spettatori o galoppino tra le acrobazie
verbali di copioni decisamente inadatti a ogni pigrizia mentale, gli attori
sono a proprio agio in quella giungla impervia che è il linguaggio, trappola mefistofelica
che sabota e deve essere sabotata, perché l’assurdo, cioè la libertà libera
anche da se stessa, trionfi. Se una moglie ostile al calzolaio ricorre a
epiteti poco edificanti davanti al marito, senza che ci sia una benché minima
intesa su inflessioni, sfumature, allusioni, spararle diventa legittima difesa.
Se, nella ricerca di un assassino in una villa, si procede sì con la ferrea
determinazione degli eroi polizieschi, ma a caso, la didascalia diventa
personaggio e l’assassinato si finge morto per trovare un colpevole che non
esiste, la scelta è chiara: perdersi in questo ammaliante delirio e abbandonare
al suo destino quel triste figuro che è il pensiero lineare.
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