“Il capolavoro è un serpente che si mozzica la coda”, afferma la
signora, mentre, con aria rapita, osserva, al di là di una superficie
trasparente, il giovane in cui ha riposto tutte le proprie speranze. La
perfezione deve continuamente alimentare se stessa, eccedere il limite, ma
nessuno può uscire indenne da questa energia che mescola la vita e la morte.
Versione crudele e ipnotica del mito di Pigmalione, “Pièce noire (Canaria) di
Enzo Moscato è lo spettacolo adattato, diretto e interpretato da Giuseppe Affinito,
che ha raccolto calorosi applausi presso il Teatro Ghirelli di Salerno. Pur
nella devozione ai temi cari al maestro (la sordida purezza, i bassifondi come
redde rationem in cui avvicinarsi al senso delle cose, la mescolanza ardita ed
evocativa di registri linguistici, in cui la musica amplia le suggestioni), il
regista e protagonista dimostra notevole sensibilità nell’allestimento. Gli
interpreti stessi dispongono gli elementi scenici, tra cui gradinate di legno
fiancheggiate da piccole gabbie in cui compaiono sagome di uccelli e giungono,
in alcuni momenti, sul palco dal fondo della platea : nulla, d’altronde, è più
aperto al mondo di un bordello e nulla richiede uno sforzo comune quanto
un’attività dedita al pubblico piacere. La signora che regge le fila della
vicenda (un’Anita Mosca di raro fascino) è, infatti, un’ex prostituta che
gestisce molti locali e ha educato al canto, alla danza, all’esprimersi in
italiano tre ragazzi : Bramosia e Cupidigia, da un lato, ribelli e
spregiudicati (Luciano dell’Aglio e Rino Rivetti, seducenti e del tutto a
proprio agio in un ruolo ambiguo) e Desiderio, dall’altro, (lo stesso Affinito,
che rovescerà in attacco spietato il proprio candore), bersaglio dell’aspro
sarcasmo dei primi due, l’unico che le stia davvero a cuore e a cui affida il
compito di giungere al sublime. Nei panni del maestro di stile Greta Garbo e
della monaca guaritrice accorsa a soccorrere lo stravolto Desiderio, vittima
del debutto all’Etoile, il più importante dei ritrovi controllati dalla madre
adottiva, Domenico Ingenito dà vita a un’interpretazione efficace tra culto
dell’apparenza e ascolto di ciò che si nasconde nelle viscere, mentre spetta
alla cameriera Sisina (Angela Dionisia Severino, capace di creare immediata
empatia nel pubblico) svelare dettagli oscuri sulla signora. Sono proprio gli
umili, in Moscato, a ridare il vero volto a persone ed eventi e, secondo
Sisina, la signora avrebbe ceduto ad alcuni zingari il bambino nato dal marito
americano, derubato e abbandonato, per avere nelle proprie mani i tre ragazzi,
da controllare e manipolare proprio come gli uccelli in gabbia di cui ama
circondarsi. La vita, tuttavia, è ben peggiore del più minaccioso dei racconti,
come mostra lo stupro subito da Desiderio prima del debutto, narrato solo
attraverso un vorticoso gioco di luci e come lo stesso “cigno” (così chiamato
per l’aura di creatura preziosa che lo ha sempre avvolto) rivelerà, a partire
dall’esorcismo laico imposto dalla monaca, dove brandelli di feti rimandano all’orrore della donna che lo ha allevato.
Quest’ultima ha, infatti, ucciso il figlio attraverso la castrazione, nel
tentativo di tramutarlo nell’angelo che incarnasse tutto ciò che di eccelso la
vita nega, modificando corpi innocenti, e il pupillo, che da prigioniero del
sogno vuol diventarne padrone, indossando gli stessi abiti della signora, mira
a trasformarsi in lei, assoggettandola. Sarà ucciso dalla donna, pronta a
coltivare di nuovo il suo folle sogno, alla notizia di un bambino sperduto
giunto alla sua porta. Ogni artista può riconoscersi in lei: ciò che è perfetto
è chimera irresistibile, in grado di sopravvivere alla propria fine, ma il buio
della carne, la trama oscura delle aspirazioni, offuscano il sole della
creazione estetica. E quando allo straordinario si sacrifica tutto, nutrendo
della stessa ossessione la vittima e il carnefice, la deriva, come mareggiata
instancabile, trascina con sé nello smisurato atto di desiderare.
Nessun commento:
Posta un commento