È allergico alla
retorica, ma fa avvertire sulla pelle il dolce peso di un ricordo. Odia le
maschere che la violenza costruisce per legittimarsi (“La divinità non può
perdonare chi giura il falso in suo nome, come chi giura di uccidere per ordine
di Dio”), ma non ama salire in cattedra. Pensa alla scrittura come a un “tempo
festivo”, un modo per farsi compagnia e ricorda con devoto affetto Izet Sarajilic,
“maestro di fedeltà amorosa” a una donna e a una città, la Sarajevo che ascoltava i
poeti negli scantinati per dimenticare almeno per un momento il dolore della
guerra. Il pubblico che ha affollato il Piccolo Teatro del Giullare di Salerno è
stato sedotto da Erri De Luca nella serata condotta dal giornalista Paolo
Romano in cui Brunella Caputo e Cinzia Ugatti hanno proposto un’appassionata
lettura di stralci tratti dalle opere più note dello scrittore napoletano. Uno
scrittore più che mai attratto dalla capacità del linguaggio di generare la
vita: il motivo che lo ha spinto ad accostarsi alla Bibbia.“Mi piaceva molto il
fatto che non fosse letteratura, che non si preoccupasse di avere un lettore,
dato che esistevano ascoltatori, tramandatori della parola –ha detto-Che quella
divinità si manifestasse fisicamente con la parola mi ha riguardato come uno
che ha messo tutte le sue uova nel cesto del vocabolario da cui trarre parole
per i miei scritti. Quel dire precede, procura e determina il creato. La parola
al suo vertice si porta dietro la responsabilità di chi la pronuncia”. De Luca
sa che le parole possono uccidere e che il razzismo ne fa un’arma impropria a
cui bisogna opporre una sensibilità non allineata. “Mi sento cittadino del
Mediterraneo, un intruglio dei nostri sangui. Sarebbe interessante analizzare
quanto nel nostro sangue ci sia di fenicio, ebreo, normanno. Assistiamo al
peggor commercio marittimo della storia dove la merce umana ha una sorte
peggiore della tratta degli schiavi, dove contava che il prodotto, pagato alla
consegna, arrivasse illeso, cosa che non conta affatto oggi. Facile immaginare
cosa diranno di noi quelli che verrano dopo”. E se la parola rivoluzione ha
ormai esaurito la sua funzione storica, non resta che resistere dal basso a
ogni minaccia alla salute pubblica. Il diritto all’integrità fisica è una priorità
assoluta. Senza dimenticare l’importanza dell’anarchia, “una delle formule
della disobbedienza di cui Charlie Hebdo è stato l’ultimo sfiato sulfureo”.
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