L’uomo e la
donna indossano elmetti e ginocchiere, ma ci sono colpi a cui è difficile
resistere: la perdita di ogni appartenenza, per esempio. Frutto della
generosità di Laura Belli e di Lorenzo Torracchi, autori insieme a Marco
Cupellari che li ha diretti presso l’Auditorium del Centro Sociale di Salerno, “E’
la pioggia che va” ha segnato il terzo appuntamento di Mutaverso, la stagione
teatrale che ha in Vincenzo Albano il suo direttore artistico. Una concezione
della vita come trincea in cui combattere da soli prende corpo in azioni decontestualizzate,
ma capaci di toccare molti nervi scoperti. La donna che si affanna a piazzare
secchi mentre un’invisibile pioggia si infiltra o che rimprovera chi, a costo
della vita, non si è arreso alla mafia, il medico che annuncia una morte
imminente con una parrucca multicolore (ogni autorità è esposta al ridicolo),
la corsa attorno a un mucchio di vestiti indossandone di volta in volta
qualcuno per inseguire una riconoscibilità che sfugge, leggere lettere da
fronti diversi sono momenti in cui si riflette lo smarrimento di un comune
orizzonte etico e ideologico, declinazioni di una fragilità inchiodata alla
solitudine. E poiché il teatro deve attivare le coscienze senza rinunciare al
suo status di menzogna sincera, la maschera è una spinta a una totale messa in
gioco. La indossa il padrone di quel circo che è la scena, sollecitando
continuamente gli spettatori a intervenire. La indossa la coppia che danza
interrogandosi su forze opposte (paura/coraggio, autonomia/cura dell’altro), perché
la ricerca di senso deve attraversare corpi e dissonanze. Presa d’atto di un
deserto di vuote parole e tentativo di condivisione si intrecciano. Amore,
patria, libertà sono palloncini da colpire con le freccette, mentre la donna ha
gli occhi coperti in cima a una scala. Inutile fare da vedetta quando non resta
nulla da custodire con lo sguardo. Pur di recuperare qualcosa che somigli alla
solidarietà, gli attori scendono in platea per invitarla invano a una gita al
mare o a un’orgia gioiosa. Ma il bisogno di calore è caparbio. L’ultima danza,
che è accoglienza e protezione, protrae ben oltre le quinte il suo afflato. E quando
il capocomico esorta il pubblico ad “alzare le chiappe e levarsi dai coglioni”,
l’allestimento è al riparo da ogni retorica. Nessuna pioggia dura in eterno. Ma
quanta fatica per far tornare il sereno.
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