Solitario.
Stravagante. Implacabile nei suoi giudizi e pronto a sputare, letteralmente,
sulla pochezza in cui inciampa. Perchè diavolo bisognerebbe perdere tempo con
un vecchio così? Perché ha compreso quello che è precluso agli altri. Applaudito
con calore nonostante una parte del pubblico di bassa lega, evidentemente
allergico a tutto ciò che non sia televisivo, Luca Zingaretti ha proposto una
lettura drammatizzata de “La sirena”, tratta da “Lighea”, un racconto di
Giuseppe Tomasi di Lampedusa, all’interno dell’atrio del Duomo di Salerno
nell’ambito del Napoli Teatro Festival diretto da Ruggero Cappuccio. Le musiche
di Germano Mazzocchetti eseguite dal
fisarmonicista Fabio Ceccarelli hanno scandito con ironica raffinatezza una
narrazione in cui dettagli ed emozioni rivivono con una concretezza e un
fascino che disorientano.“Detesto di parlare con gente che crede di sapere e
invece ignora”, dice nella Torino del 1938 l’anziano senatore Rosario La Ciura,
profondissimo conoscitore del mondo greco le cui parole appaiono un “armonioso
fluire di orgoglio e insolenza”, al giornalista Paolo Corbera, siciliano a sua
volta e pronto a gettarsi con uguale slancio nella passione come nella noia. La
Ciura odia la volgarità della superbia e della meschinità in tutte le sue forme,
non ultima quella sessuale: le tote, ovvero le fanciulle che fanno girar la
testa a Corbera, saranno contaminate dal tempo e dalla morte. Mai potranno
reggere il confronto con le statue greche dal misterioso sorriso che il
senatore accarezza con lo sguardo. E soprattutto mai nessun piacere,nessun
amore potrà essere paragonabile a quello provato con Lighea, la sirena
figlia di Calliope apparsa in gioventù a Rosario in una Sicilia fuori dal tempo.
La creatura non è solo la quintessenza di una visione che si crede sepolta, ma
è la vita stessa, la forza inesauribile dell’essere che si manifesta in tutta
la sua spudorata bellezza, il caldo abbraccio a cui tornare stanchi solo
sporgendosi sul mare. L’ebbrezza dell’infinito non può che essere desiderata e
rimpianta da chi è inchiodato ai suoi limiti e quando giungerà notizia della
morte del professore, caduto da una nave in viaggio verso Genova, solo Corbera
saprà cosa sia realmente accaduto. Il sogno dell’altrove in cui le catene del
quotidiano perdano ogni senso e morte e vita coincidano senza curarsi della
logica è stato raccontato da Zingaretti con umile amore per il testo e saggia
passione, ondeggiando con cura tra struggimento e sarcasmo, tra dolcezza e
dolore. Affidare unicamente alla voce e alle note la performance permette di
immergersi nel linguaggio di Tomasi di Lampedusa fino in fondo, assaporandone
la carnalità e l’afflato verso qualcosa che non si lascia irretire dagli schemi
delle forme e delle convenzioni. L’attore non ha ceduto alla trappola del
virtuosismo e ha saputo connotare in modo limpido i protagonisti di questo
oscillare tra libertà e confine con immediatezza. È apparso naturale che,
concluso lo spettacolo, abbia recitato “Ho sceso dandoti il braccio” di Eugenio
Montale. La persistenza dell’amore è il miglior antidoto alla cecità di chi
pensa che la realtà sia “quella che si vede”.
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