Una storia
dovrebbe essere sempre raccontata in riva al mare. Solo le onde sanno infatti
restituirne il respiro e l’ambiguità. Dopo l’affascinante performance di Carlo
Gallo in “Bollari-Memorie dallo Jonio”, dove i ricordi di una comunità di
pescatori diventano affresco potente sulla libertà e la violenza, il progetto
Teatri in Blu, che ha in Vincenzo Albano il suo direttore artistico, prosegue a
Cetara sulla Tonnara Genevieve il 21 luglio alle 21 con “Patres”, diretto da
Saverio Tavano. Il titolo sembra alludere a una dimensione immobile, ma ciò che
si ripete sempre allo stesso modo (l’attesa di un padre che non vuole restare)
racchiude tensioni che non si lasciano soffocare. Il figlio cieco che vive
senza filtri il suo approccio alla vita con una fune alla caviglia, che è
protezione, prevaricazione e persistenza dei legami (Gianluca Vetromilo perfettamente a suo agio nella spudorata
innocenza del personaggio) è complice e distante dal padre che lo investe con
il suo vitalismo (Dario Natale, che orchestra con efficacia tutte le sfumature
della dolcezza e della crudeltà). La concretezza suadente del vernacolo ha il
sapore del desiderio e di qualcosa che sfugge, che sia una felicità perduta o
un approdo da inseguire. Il difficile equilibrio tra padre e figlio trova un’eco
nel rapporto compromesso con la natura. Si allude a una nave mefitica, a un
danno che forse ha avuto la sua vittima proprio nel giovane protagonista. In questa
storia di ritorni e di distanze sovvertite che allude alla dimensione omerica, lo
struggimento di chi vorrebbe tornare a essere parte del tutto, senza maschere o
limiti, innerva uno spettacolo di rara intensità. La rassegna prosegue il 28
luglio con “Mari”, di e con Tino Caspanello al fianco di Cinzia Muscolino. Attraverso
un lavoro minimale, che giunge all’essenza delle cose puntando su un’immediatezza
che diviene profondità, l’uomo e la donna che sembrerebbero del tutto
inconciliabili (lei lo vuole a casa, lui preferisce la solitudine del pescatore
sulla battigia), creano un dialogo ridotto all’osso che riflette il bisogno di
certezze e l’ansia di perdersi nell’assoluto, la vicinanza e la lontananza, l’urgenza
di comprendersi e la necessità di essere rinchiusi ognuno nel proprio mondo. La
distesa marina che li accoglie regala una nuova bellezza alla fragilità: ciò
che non si lascia imprigionare si unisce con quello che è sottoposto allo
spazio e al tempo per poi dissolvere ogni grado di separazione tra finito e
infinito. Tutto diventa possibile, quando sono le onde ad ascoltare.
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