Echi
letterari, senso del gioco, amore del paradosso, ambiguità e nitore che
rimandano l’uno all’altra. Il linguaggio in Ruggero Cappuccio è oggetto di una
cura maniacale, ma è anche invito al pubblico a tenere accesi i sensi, a
scovare il lato sorprendente delle parole. È ciò che accade in “Spaccanapoli
Times”, lo spettacolo accolto calorosamente
dal pubblico del Teatro Verdi di Salerno. Cappuccio, che ironizza su se
stesso nel ruolo di Giuseppe Acquaviva, conta su interpreti d’eccezione. Gea
Martire è efficacissima nel mostrare un personaggio smarrito nei suoi affetti che
tenta di razionalizzare ciò che è decisamente lontano dalla logica, ovvero,
appunto, la vita amorosa. La passionale Marina Sorrenti ha qualcosa di
stregonesco nella sua “sicilianità”, Giovanni Esposito crea un sorprendente
ritratto di nevrotico, Giulio Cancelli e Ciro Damiano costruiscono in modo
rigoroso i ritratti dello spasimante e del dottore. Quattro fratelli cercano di
ottenere il riconoscimento di un’invalidità, che è certificazione di una
precisa mancanza: l’inconciliabilità con uno spazio/tempo non interessato a
riconoscerli (la via Spaccanapoli dove sorge la loro casa non ha più nulla del
passato) e il diritto a vivere in una realtà che a loro volta non riconoscono.
I riferimenti al capitalismo e alla guerra mostrano infatti come sia facile
divenire stranieri a un contesto che tende solo al cannibalismo etico. Le
innumerevoli bottiglie d’acqua della scenografia tentano di imprigionare la
vita e la memoria in una dimensione condannata a essere fragile. Lo stesso
protagonista, dettando per telefono a un amico le sue memorie di nascosto,
vuole sottrarre all’invisibilità una traccia di sé. La natura contraddittoria
dei rapporti umani è comicamente evidenziata, ma si avverte un senso di
precarietà che si contrappone sistematicamente al bisogno di difendere dal
nulla sensazioni e aspirazioni. Lo struggente finale, in cui i fratelli di
Giuseppe sembrano proiezioni di quest’ultimo, fantasmi da accogliere nel
crepuscolo dell’esistenza, vuole ricordare che, se la vita è sogno, non si può
che sognarla con ostinazione sempre maggiore.
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