Le stagioni che non sono più
le stesse, la guida sconsiderata degli automobilisti, l’importanza della
beneficienza, l’attenzione ai pregi della natura. Sono innumerevoli gli
argomenti in grado di impegnare una coppia, purchè non si affronti la verità:
quelle amarezze dure a morire e sempre pronte a ripresentarsi in un mare di
parole inutili. Di scena il 27 e 28 aprile al Teatro Gambaro di San Fili
(Cosenza) a cura dell’Officina Teatrale L.A.A.V, “Il pendolo” di Aldo Nicolaj, diretto da
Virginia Acqua, è un’opera limpida e tagliente sulla duplice solitudine che è
il matrimonio. Antonella Valitutti e Alessandro Budroni sono perfetti nel
descrivere la parabola discendente di due personaggi che non avrebbero
sfigurato dinanzi a Madame Bovary per la capacità di autoingannarsi. Si
innamorano infatti l’una dell’idea dell’altro e quando il peso della realtà li
schiaccia, l’idillio è finito. Nell’oscillare tra la tenerezza dei primi
approcci e la rassicurante immagine della famiglia unita in cui si apre come
uno squarcio il rimpianto di una felicità perduta, i protagonisti sono del
tutto credibili e sanno orchestrare nel loro gioco di maschere tutti i toni
dell’ironia e della disillusione. La regista sceglie pochi accorgimenti per
tratteggiare un’atmosfera: due cassapanche in cui recuperare gli abiti della
giovinezza, lo scatolame passato da lei a lui per il picnic che ricorda il
continuo snocciolare banalità, un contenitore da cui recuperare il telecomando,
il viaggio in macchina ricreato con un volante e una cornice a fare da
finestrino. Ogni atteggiamento dei coniugi induce a comprendere come la loro
sia una vita in scatola, dove la consapevolezza -che giunge, non a caso, al
momento del concepimento del figlio- non apre nuove vie, ma amplia i confini di
una faticosa prigionia. L’intero spettacolo è un flashback, contrappuntato da
recriminazioni e nostalgie, di Mira e Rupeo che si presentano con le stesse
vestaglie indossate all’inizio in una domenica qualunque, il giorno in cui è
più facile inciampare in ricordi e ansie. L’impostazione dello spettacolo
rivela dunque di per sé una narrazione circolare in cui non si evade dal solco
prefissato. In queste esistenze anestetizzate dal quieto vivere tutto si
struttura un passo al di qua del comportamento esasperato. Eppure, quando
restano entrambi a contemplare le infinite noiose domeniche che verranno, il
senso del fallimento ha il peso di un macigno.
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