La voce assume l’accorata concretezza del
corpo e il corpo diventa insinuante come la voce in “Solo andata”, lo
spettacolo che Antonello Cossia ha proposto al Marte di Cava de’Tirreni sulla
base di un testo di Erri De Luca. Il blues di Francesco Sansalone e le immagini
di Mario Laporta, fornite dalla Agenzia Fotogiornalistica Controluce e prodotte
da Carlo Hermann e Roberto Salomone oltre che dallo stesso Laporta, hanno
scandito l’odissea dei migranti che, sognando un mondo diverso, da oltre
vent’anni tentano di raggiungere la penisola, morendo a migliaia in mare.
Aprendo la narrazione con una citazione tratta da “Moby dick”di Melville (la
distesa marina come surrogato della pistola) per poi giungere all’orrore del
naufragio in “Oceano mare” di Baricco, l’elemento acquatico è restituito in
tutta la sua ambiguità: è specchio del deserto percorso a piedi da infinite
distanze, esorcismo dell’angoscia, tomba, illusione di riscatto, ostacolo
invalicabile, miraggio che strega. Cossia ricorre a strumenti all’apparenza
elementari come una tinozza colma d’acqua e una barca di carta, ma non è
intenzionato a seguire una facile analogia. A dominare le sue scelte sussiste
il bisogno lancinante di azzerare qualsiasi diaframma tra il linguaggio e le
cose. Tutto ciò che viene detto deve tradursi in una dimensione materiale che
coinvolga lo spettatore ed ecco che le istantanee incarnano la parola che a sua
volta trova un riflesso nella musica. Come il profugo non vede che mare attorno
a sé (lo spazio refrattario al confine che confina nella disperazione e nei
propri flutti), allo stesso modo chi assiste a “Solo andata” percepisce a ogni
livello l’assedio con cui gli elementi e gli uomini serrano la gola ad altri
individui. La voce di Cossia assume colori sempre nuovi all’interno di un ritmo
che solo a un primo approccio risulta abbastanza uniforme: è lamento, rabbia,
nostalgia, sussulto del morente, respiro che ricomincia dopo un tempo
illimitato. Il dolore non si rinchiude tuttavia in se stesso, ma si fa atto
d’accusa alla cecità altrui. La “Profezia” di Pierpaolo Pasolini si innesta,
come svolta necessaria, nel discorso, ricordando che la vita è dove non la si
sospetta: nella miseria degli ultimi vi è la rinascita di un Occidente
anestetizzato da compromessi e meschinità. E la lirica di De Luca, “Valore”,
ricorda che non esiste una gerarchia tra i piccoli e grandi eventi che
intercettano un’esistenza. Ogni aspetto è prezioso, in ogni sguardo esistono,
malgrado violenza e disprezzo, mille possibilità.
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