Il
protagonista avanza su una sedia a rotelle da cui lo fa crudelmente cadere il
croupier (Alessio Piazza, perfetto nella sua azione implacabile).Non potrebbe
essere altrimenti: il gioco è una malattia invalidante, dato che pone in
vendita ciò che dovrebbe avere un valore incalcolabile, cioè la vita.
Applaudito al Teatro Verdi di Salerno,“Il giocatore” di Fëdor Dostoevskij, diretto da Gabriele Russo, è la storia di
un duplice assedio: quello chela febbre della roulette impone a una coscienza
che vorrebbe solo essere riconosciuta e la necessità, da parte dello scrittore
russo, di consegnare quanto prima un romanzo, pena la perdita dei diritti
d’autore. Di qui il duplice piano narrativo del personaggio e dell’autore su
cui incombe il tempo, inteso come partita della sorte. Non a caso è il croupier
a girare la clessidra che decide la durata della rappresentazione. L’ossessione
dell’azzardo e del possesso condiziona ogni gesto, tanto che ogni somma citata
è puntualmente riportata nella corrispondente valuta straniera, euro compreso. Come
afferma del resto Aleksej (un
Daniele Russo coerente e appassionato), che cosa fanno sempre gli uomini se non
giocarsi l’un l’altro qualcosa? Polina (l’affascinante Camilla Semino Favro, che interpreta anche Anna Grigor’evna) è dominatrice e posta in
gioco per il protagonista, che a sua volta, come la pallina della roulette,
condiziona le altre figure, diventando motivo d’imbarazzo per il generale
(l’efficace Marcello Romolo),
occasione di ricchezza per Madame Blanche (la convincente Martina Galletta),
opportunità di saggia benevolenza per Mr. Astley (il corretto Alfredo
Angelici), ostacolo ai suoi piani per De Grieux (Sebastiano
Gavasso, attento alla costruzione del suo personaggio) o ancora illusoria guida
alla liberazione del tavolo verde per la Baboulinka (la carismatica Paola Sambo), il cui arrivo è preannunciato da rotaie che cadono
dall’alto, come tutto ciò che scompiglia un piano. L’aspetto claustrofobico
della scenografia (tappezzeria a pezzi, stanze che sono di fatto prolungamento
della sala da gioco, gli scrittoi di Fëdor e di Anna disposti in modo parallelo, perché protesi nevroticamente
verso lo stesso obiettivo) esprime il carattere beffardo dello sforzo di
regalarsi una nuova esistenza. Aleksej abbraccerà Polina in un mucchio di
banconote, ma proprio tra queste si porrà in un letto prigione, poiché la vera
felicità gli sarà preclusa. Il raggiungimento della meta è un incidente di
percorso, non qualcosa su cui scommettere a occhi chiusi. Lo zero che campeggia
nel finale, simbolo della massima vincita, promette un successo che si scioglie
tra le mani, esattamente come tutti gli altri numeri che lampeggiano sulle
pareti. Eppure il dissipatore ha avuto almeno la forza di non restare a
guardare. È Aleksej a ricordarlo: “Che bruciarsi un capitale sia più spregevole
che accumularlo, è tutto da dimostrare”.
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