Come diavolo
è possibile finire in tempo un lavoro tra le chiacchiere di un compagno strambo
e di una sconosciuta ancora più strana? Eppure ciò che sembra illogico conduce
dove non ci si sarebbe aspettati di giungere. Tino Caspanello si conferma
artista di quel che è potente nella sua semplicità, firmando il testo, la regia
e la scena di “ 'Nta ll'aria”, lo spettacolo
proposto con successo al Centro Sociale di Salerno nell’ambito di Mutaverso
Teatro, il progetto di Vincenzo Albano. Cinzia Muscolino, Tino
Calabrò, Alessio Bonaffini sono perfetti nel restituire la credibilità di individui
ai margini del contesto sociale e, proprio in virtù di questa condizione,
capaci di cogliere l’essenza delle cose, anche quando comporta disagio o
timore. Senza forzature e compiacimenti, ogni azione dell’allestimento è ciò
che si coglie e al tempo stesso si apre a significati più ampi. Gli operai sono
impegnati in gesti ripetitivi e sfibranti; chi di noi non è inchiodato a consuetudini
che diventano di fatto la nostra seconda natura? Il dialogo prende le mosse
dallo sguardo lontano del protagonista più singolare, il più bisognoso di
contatto umano e insofferente del colore nero con cui dovranno dipingere il
balcone dove si trovano, triste come la loro quotidianità. Mentre la ruvida
concretezza si oppone alla necessità di regalare alle parole un peso diverso, i
due mostrano, nella nuda aderenza al realismo, come solitudine e alienazione
siano davvero'nta ll'aria, assorbite come ossigeno. Affacciarsi
al balcone diventa un modo per aprirsi al possibile, a un altrove segretamente
desiderato. Ed è proprio a questo che tende la donna che irrompe, priva di nome
e di maschere, travolgendo la routine con la sua energia. Non ha bisogno di un
motivo per essere lì (la porta è aperta e tanto basta), vuole solo godersi l’aria
fresca e disorientare col candore della sua disponibilità. Tra offerte di vino
e caffè, un improbabile cappello e continue domande, la visitatrice vince la
resistenza dei suoi interlocutori. Solo dinanzi a lei conosciamo i loro nomi,
come se solo lei sapesse riconoscerli. Incarna la follia, l’infanzia, l’empatia.
Coinvolge Mimì e Felice nel gioco, nel sogno di una continua festa e li esorta
ad ascoltare se stessi e il mondo, a recuperare la forza del suono (“Come fa il
treno?”), a riscoprirsi esseri dotati di emozioni. Il balcone è il confine tra
il mistero della vita e gli outsider che possono respirarlo nella sua
interezza. La domanda “Come fa il tempo?” rimane però drammaticamente sospesa. Difficile
dare voce a ciò che travolgerà tutto. Il più refrattario ad aprirsi, tuttavia,
passerà il rossetto con cui hanno scherzato sulla ringhiera del balcone. Che almeno
il colore di un sentimento brilli nel buio destinato a ingoiarci.
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