mercoledì 16 maggio 2018

"The hard way..." o della solitudine




Il canto del gallo, i rumori della strada, le notifiche del cellulare, persino le esplosioni: tutto, ma non le parole, che sono mimate ma non espresse. E a che servirebbe, se non conducono più a nulla? Specchio fedele delle nevrosi contemporanee, "The hard way to understand each other" della compagnia Teatro Presente ha raccolto meritati applausi presso il Centro Sociale di Salerno nell’ambito di Mutaverso, la stagione teatrale diretta da ErreTeatro di Vincenzo Albano. Adalgisa Vavassori cura il progetto e la regia, mentre la drammaturgia collettiva vede impegnati Daniele Cavone Felicioni, Gabriele Ciavarra, Clelia Cicero, Julio Dante Greco e Adele Raes. Le composizioni sonore sono di Gianluca Agostini,  la scenografia è firmata da Hillary Piras. La tensione performativa non conosce stasi, perché gli interpreti sono di volta in volta personaggi in azione e proiezione di stati d’animo in un contesto scenico dove non a caso predomina il nero, allusione al rituale opprimente della quotidianità. Il minimo comun denominatore è l’impossibilità di comprendersi: capire gli altri è un’impresa, ma far luce dentro di sé non è certo più semplice. L’uomo che, con tanto di visori tipici dei giochi di ruolo, preferisce il benessere creato dal mezzo televisivo alla vita ordinaria non è distante dai due che fraintendono il litigio di una coppia, vedendovi l’una un omicidio e l’altro una inferiorità maschile. L’attore su cui piovono giornali accompagnati da frastuoni catastrofici è impaurito dai disastri odierni, ma l’unica conseguenza è ampliare la propria paranoia (la borsa dimenticata che si crede contenga esplosivo). I mattoni collocati con pazienza inesorabile tra due conviventi che non si confessano disagi e contrasti non sono meno inquietanti delle spinte distruttive (un capo implacabile e una donna accusatrice) che conducono al naufragio un altro rapporto. Desiderio e logica, ma anche il timore di non essere all’altezza e il bisogno di essere finalmente altro, imprigionano nel proprio dissidio chi potrebbe trovare la felicità, mentre lo smartphone tenta di esorcizzare il senso opprimente di vuoto. La ragazza coperta di like e gli interpreti delle pulsioni persi tra le caramelle di un gioco on line mostrano uno stallo emotivo, l’incapacità di prendere atto delle proprie contraddizioni e di superarle. I corpi vorrebbero incarnare il diritto a essere se stessi, senza temere di riconoscersi negli altri (i movimenti all’unisono nel finale), ma è terribilmente più facile restare ostaggio di meccanismi autoindotti. E mentre il tempo è gettato via (fogli di calendario volano ovunque)non resta che la propria comoda –ma non rassicurante- prigione.


domenica 13 maggio 2018

"Qui e ora", il nulla feroce dell'Italia di oggi



Esiste qualcosa di peggio di un pauroso incidente: incappare in un uomo intollerante e intollerabile che, come se non bastasse, è il proprio specchio. Se è vero che nulla spaventa quanto la gente comune, la nerissima comicità di “Qui e ora”, scritto e diretto da Mattia Torre e applaudito al Teatro Verdi per la regia di Angelo Generali, è il ritratto spietato di chi non ha e non vuole alcun punto di riferimento, in un vuoto preannunciato dal segnale stradale, che infatti non offre indicazioni. Dei due uomini sopravvissuti allo scontro dei propri scooter, Aurelio (Paolo Calabresi, eccellente nella volgare aggressività di chi guarda agli altri come vermi lontani dal suo piedistallo) non si preoccupa certo di soccorrere Claudio (Valerio Aprea, che crea un perfetto equilibrio di rabbia, sofferenza e rivalsa), ma di non perdere la diretta radiofonica con il suo programma, che porta il nome dello spettacolo. Alternerà dunque paradossali interventi al cellulare in cui confermarsi “chef motivazionale”, che trasforma rucola e broccoli in pretesti per una vita da vincenti, ad offese di ogni tipo al malcapitato sdraiato a terra, il “parassita contadino” che dimostra “il fallimento delle politiche di inclusione sociale”. Nella sua vita di amarezze e tentativi di sbarcare il lunario dedotta dal dialogo, Claudio sembrerebbe umanamente superiore al “compagno di sventura”, fronteggiandone le nevrosi con ironia e lucidità: è a lui che vanno le immediate simpatie del pubblico, tanto più che i quindici anni di analisi vissuti da Aurelio sono ancora più disastrosi dei due ruote andati in pezzi. Lo scontro diventa sempre più violento, soprattutto quando è in gioco il possesso dell’unico cellulare funzionante .“Qui e ora” però non è solo il monito di chi non vuole perdere neppure un attimo per affermare il proprio egocentrismo: è anche un momento decisivo del tennis, l’impatto della racchetta con la palla che può decidere le sorti nei modi meno attesi. Ed ecco il colpo di scena: quel che è successo in una strada tagliata fuori da tutto non è stato casuale. Claudio ha voluto piombare addosso al suo interlocutore, fare giustizia di una classe sociale “alta” per esorcizzare la totale mancanza di senso della propria generazione. Il livore verso un equilibrio precluso e l’odio verso ogni diversità pongono i due sullo stesso piano. Il “vendicatore”non risulta di sicuro vittorioso e Aurelio, che muore abbandonato, non saprà mai fino a che punto sia vera l’accusa all’Italia di essere un “Paese di animali, analfabeti, bestie”.