martedì 29 settembre 2015

“Ecce Robot”, il talento visionario di Daniele Timpano



Kitsch, brutti, violenti, pornografici. E dunque, irresistibili. Era il 4 aprile del 1978. Chi diavolo poteva immaginare che l’alabarda spaziale di Goldrake si sarebbe conficcata nella mente e nel cuore di un’intera generazione? Applaudito dal pubblico del Teatro del Giullare di Salerno, “Ecce Robot. Cronaca di un’invasione” ha aperto la seconda edizione di “Per voce sola”, la rassegna, nata dall’impegno dell’associazione culturale Erre Teatro, che ha in Vincenzo Albano il suo direttore artistico col sostegno del Comune di Salerno, di contributi privati e la collaborazione di Pura Cultura e di Fonderie Culturali. Ricostruendo con  divertente scrupolo filologico il primo e l’ultimo episodio di Mazinga Z, un cult di quegli anni, Daniele Timpano rende omaggio al creatore di questa e altre serie di successo, Go Nagai, nel dar vita a tutti i personaggi e nell’ispirare ai cartoni nipponici il suo stesso approccio al palco, come il conto alla rovescia per la fine dello spettacolo che crea la tensione adatta a un’astronave. Lo sguardo spiritato, i movimenti a tratti convulsi, le espressioni spesso fissate in una maschera buffa non lo farebbero affatto sfigurare in un plot del Sol Levante. L’adrenalina profusa in uno spettacolo che non conosce attimi di cedimento è elogio della sfrenata libertà espressiva a cui i robot hanno aperto le porte e il  protagonista si presenta come il frutto di una mutazione antropologica (cosa aspettarsi da chi alle elementari camminava alzando le ginocchia come Lupin III?). La stessa temuta, denunciata e osteggiata da gran parte dell’opinione pubblica di quarant’anni fa, dalla lettera dei seicento genitori di Imola contro l’inaridimento intellettivo ed emotivo dei figli made in Japan alla demonizzazione di Nantas Salvalaggio, che nella tragica morte di un bimbo ammiratore di Goldrake vedeva senza appello il male che avanza (e qui il sarcasmo riesce a giocare tutte le sue carte senza ledere neppure in parte il dramma). Ma ecco l’orgoglioso capovolgimento della questione. È vero, gli eroi d’acciaio sono entrati nel dna, sarebbe stato probabilmente meglio far saltare in aria un democristiano in quel periodo travagliato invece di passare pomeriggi interi davanti a quelle trasmissioni e lo stesso teatro di Timpano rivendica con comica ammirazione di essere nato da quella produzione a basso costo. Dietro l’onnipresenza del televisore però vi era l’assenza degli adulti o le loro tensioni malate: il ricordo di una gamba tagliata al padre in una lite è la grottesca dimostrazione di come l’orrore ami nascondersi nella quotidianità. Nulla spaventa un bambino più di una famiglia in pezzi. Mamma e papà che vomitano veleno l’uno sull’altro dietro una porta a vetri turbano più di qualunque mostro. E il missile fallico di Mazinga Z farà sempre minor danno di un genitore anaffettivo, che relega davanti al piccolo schermo chi ha solo voglia di sognare un po’ di più.

giovedì 24 settembre 2015

Al via la seconda edizione di “Per voce sola”



Il peso dei ricordi e la necessità di aprire, anzi, spalancare le porte della percezione percorrono i quattro appuntamenti (tutti alle 21 al Piccolo Teatro del Giullare di Salerno) di “Per voce sola”, la rassegna, giunta alla seconda edizione, nata dall’impegno dell’associazione culturale Erre Teatro, che ha in Vincenzo Albano il suo direttore artistico col sostegno del Comune di Salerno, di contributi privati e la collaborazione di Pura Cultura e di Fonderie Culturali. Si inizia il 25 settembre con “Ecce robot. Cronaca di un’invasione” di cui Daniele Timpano, che si ispira all’opera di Go Nagai, cura drammaturgia, regia ed interpretazione e che è il racconto ironico di una colonizzazione dell’immaginario, quella dei cartoni nipponici, che prepara l’inquietante omologazione imposta dal mezzo televisivo. È un mondo di memorie e di sensazioni perdute “Antropolaroid”, di e con Tindaro Granata (2 ottobre), in cui la duttilità della lingua siciliana crea personaggi che riemergono da un lontano passato e celano aspetti inquietanti. Il 16 ottobre Salvatore Nocera, su testo e regia di Rosario Palazzolo, proporrà, con le voci di Giada Biondo, Floriana Cane, Chiara Italiano, Rosario Palazzolo, Chiara Pulizzotto, Giorgio Salamone, “Letizia for ever”, dove la più inclassificabile delle donne, nevrotica, comica e imprevedibile, fa energicamente a pezzi ogni convenzione. La conclusione della manifestazione è fissata per il 23 ottobre con “Elettrocardiodramma” scritto, diretto e interpretato da Leonardo Capuano, dove un balbuziente vestito da donna mette a nudo la propria anima nel dialogo con figure che solo lui può vedere.
 “Non è tanto il monologo come forma espressiva in sé a meritare una qualche priorità rispetto ad altri tipi di messinscena- ha detto il direttore artistico- quanto il fatto che è sempre la forza del linguaggio a contare. La parola unisce in un doppio dono: quello che l’interprete fa al pubblico con la sua creatività e quello che gli spettatori attuano offrendo il proprio ascolto. È facile dimenticare l’ascolto nella confusione che ci attornia e il pubblico non è certo stupido, ma addormentato su ciò che viene proposto. La rassegna cerca di comprendere le policromie del presente e quanto di ciò a cui si assiste oggi appartiene al futuro”.

Napoli, alla Galleria Di Caro “Scrivere non è descrivere!” di Tomaso Binga



Il segno è una terra aperta alle più disparate conquiste, uno spazio le cui coordinate sono soggette a mutamenti imprevedibili, un gioco che si autoalimenta all’insegna della più spudorata ambiguità. Un’ambiguità che si nutre dell’energia del palcoscenico, dissolvendo ogni diaframma tra i volti dell’arte. Su questo assunto ha costruito il suo percorso Tomaso Binga, al secolo Bianca Pucciarelli Menna, che inaugurerà la sua personale “Scrivere non è descrivere!” (il titolo è un verso della stessa Binga) oggi, 24 settembre, alle 19 presso la Galleria Tiziana Di Caro in Piazzetta Nilo 7 a Napoli. Le componenti del linguaggio diventano in lei occasione per annullare ogni confine tra materia e suono, rendendo gli elementi espressivi un’arma contro ogni discriminazione e appiattimento della percezione. La mostra, aperta fino al 14 novembre, proporrà la serie “Scrittura vivente”(1976), dove il corpo dell’artista, nel divenire lettera o comunque elemento base di un dialogo sempre aperto con lo spettatore, intende abolire la tirannia del codice favorendo cosi la più totale libertà espressiva. Il Dattilocodice del 1978, in cui grafemi sovrapposti alla macchina da scrivere creano un nuovo livello iconico,  a tratti quasi una sorta di arazzo onirico, carica il significante di una polisemia che attinge al prelogico per restituire a se stessa la facoltà di reinventare ed esplorare l’assodato. Oltre alle opere dei primi anni Settanta, non ultimi i disegni e i collage, i visitatori potranno visionare parte della produzione esposta alla Biennale di Venezia del 1978. Non potrà mancare “Ti scrivo solo di domenica”(1977), la performance in cui l’emancipazione femminile è descritta come la meta di un viaggio complesso e necessario, per quanto gli ostacoli si accavallino. In un anno di corrispondenza con un’amica a cui sono inviati sette biglietti alla settimana, solo il settimo contiene un messaggio, dato che la domenica è l’unico giorno di genere femminile. Il tempo diviene cosi spazio di urgenze e sensazioni che rivendicano il diritto a riscrivere la vita. Senza rinunciare all’ironia anche quando l’amarezza prevale, la poesia sonora di Binga, che difende la scelta dell’identità di riscrivere i propri percorsi oltre ogni condizionamento, è una continua esortazione a una rivoluzione sociale che abbatta definitivamente il razzismo ideologico in tutti i suoi aspetti e l’esposizione della Galleria Di Caro vuole fare da apripista a un ciclo che illustri le tappe di una protagonista della scena culturale italiana.