Se la morte è il momento della verità, solo lo sguardo di due
donne straordinarie può sottrarsi all’insopportabile ipocrisia che l'attornia. “Esequie solenni”,
che Andrée Ruth Shammah dirigerà fino al 31 maggio al Piccolo Eliseo Patroni Griffi di Roma, basandosi sul
testo di Antonio Tarantino, racconta intensamente l’incontro tra Nilde Iotti e
la vedova di Alcide De Gasperi. Ivana Monti e Laura Pasetti convincono critica
e pubblico in quella che si apre con i toni di una sfida, di un’inconciliabile
vicinanza, per poi assumere la forma di un confronto libero e a tratti
provocatorio. Franca e Leona si incontrano all’indomani della morte di
Togliatti e si trovano alle prese con un peso che diviene sempre più
insopportabile: il controllo delle strutture di partito, la difficoltà con cui
una donna possa affermarsi, un’eredità da custodire, ma che rischia di
annullarle, di strapparle a un’autocoscienza che possa finalmente rimescolare
le carte. I dialoghi, che nel loro ritmo incalzante e nella tagliante ironia
s’impongono subito all’attenzione, attaccano la sopraffazione di cui il potere
si nutre da sempre e ne sottolineano la dimensione grigia, monolitica, il
sospetto verso chi abbia il coraggio di essere solo se stesso. Il diverso
cammino compiuto dalle protagoniste le induce a rivelare affinità insospettate:
la solennità delle esequie è chiara metafora di chi vuole seppellire il senso
critico in quella bara che è la costrizione dell’ideologia. Nessuna ideologia
può però porsi al di sopra dell’anima di un individuo.
lunedì 27 maggio 2013
lunedì 20 maggio 2013
“La confessione” di Walter Manfrè, anime nude in scena
In una sequenza memorabile de “Il Gattopardo” diretto da Luchino Visconti, il principe Fabrizio (Burt Lancaster) rimprovera il sacerdote, interpretato da Romolo Valli, per la ritrosia a guardarlo mentre esce dalla vasca, ricordandogli che “la nudità delle anime è molto più indecente”. Quella dei peccatori che si alternano ne “La confessione” di Walter Manfrè è addirittura straniante: istiniti inconfessabili, pulsioni che riemergono ostinatamente, ipocrisie che vanno in pezzi si susseguono dinanzi allo spettatore chiamato ad ascoltare e giudicare, mentre un Prete Folle (Francesco Silvestri) lo catapulta all’interno di questo crudele cerimoniale. Lo spettacolo, che si terrà a Cosimo dal 24 al 26 maggio presso la Sala Pietro Palazzo, prevede che, su inginocchiatoi disposti su due file, dieci attori si confessino dinanzi a dieci spettatrici e che dieci attrici facciano lo stesso con altrettanti uomini del pubblico. Aldo Nicolaj, Stefano Benni, Dacia Maraini, Vincenzo Consolo, Aurelio Grimaldi sono solo alcuni degli autori dei monologhi, a cui hanno contributo nel corso degli anni altri scrittori italiani e stranieri. Offrirsi senza pudore al pubblico e lasciarsi ridefinire da diverse forme di scrittura fa della rappresentazione un discorso perennemente aperto su ciò che si vorrebbe dimenticare e una provocatoria messa in discussione dello statuto teatrale. Il voyeurismo di chi osserva diviene condivisione di una colpa che è anche specchio, per quanto distorto, della propria umanità; nel denudare la propria anima davanti a chi lo confessa, l’attore compie una sorta di maieutica rovesciata. Bisogna abitare il buio per comprendere cosa sia, ammesso che ci sia, la luce.
sabato 18 maggio 2013
Il teatro coraggioso di Francesco Silvestri
Come combattere un dolore che divora la mente e il corpo? Con un amore tanto esclusivo da diventare una consacrazione. Non fatevi ingannare: l’enfasi e la commozione a buon mercato sono lontane anni luce dal teatro di Francesco Silvestri, che interpreterà fino al 19 maggio presso l’ex Chiesa SS Nicolò ed Erasmo di Modica Alta,sede dell'Accad
“La finestra sul cortile”, le insidie dello sguardo
“Se puoi vedere, guarda. Se puoi guardare, osserva” recita un proverbio. Può essere difficile però comprendere fino a che punto gli occhi si aprano al mondo o non pretendano invece di rinchiuderlo nel proprio sguardo. In che misura il vedere è un vedersi? E se l’atto di osservare fosse al contrario una forma di cecità, in modo da sfuggire a ciò che si è o si pretende di essere? Nella rilettura dell’opera di Cornell Woolrich Claudio Di Palma, regista e interprete al fianco di Andrea de Goyzueta de “La finestra sul cortile”, in scena al Teatrro Ghirelli di Salerno fino al 19 maggio, analizza le ambiguità legate alla tensione tra soggetto e oggetto della visione. Un uomo fa del suo computer un onnipresente punto di osservazione. Attraverso un sistema di telecamere nascoste può seguire le vite dei suoi dirimpettai che si compongono come un mosaico sempre cangiante dinanzi a lui. Mille prospettive si fondono in quella del protagonista, che crede di aver individuato un omicidio. Al di là delle dinamiche proprie del giallo, lo spettacolo insinua un dubbio nello spettatore. Le figure che ossessionano l’uomo che ha scelto la sua reclusione potrebbero essere fantasmi o forse il fantasma è lui, prigioniero non delle certezze, ma delle trappole in cui l’urgenza di scrutare, inseguire, capire lo precipita.
sabato 11 maggio 2013
“Attesa” di Antonio Grimaldi ad Angri
Si può raccontare una storia nel silenzio quasi perfetto di una stanza, affidandosi a una voce registrata fuori campo (interferenza, eco, proiezione, sottotesto di ciò che avviene in scena). Come comprendere però quando quella stessa storia si conclude? “Attesa”, il copione diretto da Antonio Grimaldi, qui anche nella veste di interprete, andrà in scena al Teatro Oratorio Santa Caterina di Angri il 12 maggio alle 18. Il cast comprende Luciano Dell'Aglio, Gabriella Orilia, Cristina Milito Pagliara, Massimo Villani; i testi e la voce sono di Alfonso Tramontano Guerritore, le maschere di Angelo Russo e Bonaventura Girodano. Attendere non significa solo prepararsi ad accogliere qualcosa (in questo caso, il ritorno di un uomo da una guerra il cui fronte potrebbe essere nelle coscienze prima ancora che in luoghi definiti), ma anche dare un volto diverso al tempo e allo spazio, ascoltare i fantasmi che si preferisce relegare nella buia zona del non detto, percepire mutamenti sotto la patina inutile dei giorni. Un uomo e una donna scelgono di appartenersi, ma non sono preparati a sostenere la fragilità dei propri bisogni. In un allestimento che procede lungo metafore e assonanze, dove l’incubo può affacciarsi in ogni istante a ricordare quanto tutto sia effimero, l’attesa è una partita aperta con urgenze dell’anima che rimangono lì, a smascherare tutti gli inganni dell’impossibile normalità.
venerdì 10 maggio 2013
“Esercito d’amore”, il corpo si racconta
Come raccontare il sentimento più antico
del mondo schivando le trappole della retorica? Affidandosi a una gestualità che
rifiuti ogni diaframma tra il corpo e l’anima. Si nutre di analogie mai
scontate “Esercito d’amore”, lo spettacolo che Antonio Grimaldi dirigerà sabato
11 maggio alle 21 alla Mediateca Marte di Cava de’Tirreni su testi di Alfonso
Tramontano Guerritore. Attraverso una coreografia che potenzia le suggestioni
del linguaggio misurandosi con una serie di opposti (tenerezza e violenza,
unità e dispersione, ricerca dell’altro e consapevolezza di dover cercare solo
in sé la ragione per continuare), il cast conduce la sua riflessione sul concetto
di storia come anagramma all’apparenza privo di senso. Le bandiere che
campeggiano sullo sfondo inframmezzate da cuori sono ridotte alla condizione di
puri significanti: l’affresco multiculturale che vorrebbero suggerire somiglia
più a uno specchietto per le allodole che a una realtà concreta e i corpi che
si slanciano, si abbracciano, si scindono, ora mossi da un’urgenza interiore,
ora travolti da ciò che non si lascia controllare (la forza della vita in sé)
ridisegnano continuamente i confini del desiderio, esorcizzando in un’armonia
impossibile il male di vivere.
lunedì 6 maggio 2013
“Solo andata”, il dramma dei migranti
La voce assume l’accorata concretezza del
corpo e il corpo diventa insinuante come la voce in “Solo andata”, lo
spettacolo che Antonello Cossia ha proposto al Marte di Cava de’Tirreni sulla
base di un testo di Erri De Luca. Il blues di Francesco Sansalone e le immagini
di Mario Laporta, fornite dalla Agenzia Fotogiornalistica Controluce e prodotte
da Carlo Hermann e Roberto Salomone oltre che dallo stesso Laporta, hanno
scandito l’odissea dei migranti che, sognando un mondo diverso, da oltre
vent’anni tentano di raggiungere la penisola, morendo a migliaia in mare.
Aprendo la narrazione con una citazione tratta da “Moby dick”di Melville (la
distesa marina come surrogato della pistola) per poi giungere all’orrore del
naufragio in “Oceano mare” di Baricco, l’elemento acquatico è restituito in
tutta la sua ambiguità: è specchio del deserto percorso a piedi da infinite
distanze, esorcismo dell’angoscia, tomba, illusione di riscatto, ostacolo
invalicabile, miraggio che strega. Cossia ricorre a strumenti all’apparenza
elementari come una tinozza colma d’acqua e una barca di carta, ma non è
intenzionato a seguire una facile analogia. A dominare le sue scelte sussiste
il bisogno lancinante di azzerare qualsiasi diaframma tra il linguaggio e le
cose. Tutto ciò che viene detto deve tradursi in una dimensione materiale che
coinvolga lo spettatore ed ecco che le istantanee incarnano la parola che a sua
volta trova un riflesso nella musica. Come il profugo non vede che mare attorno
a sé (lo spazio refrattario al confine che confina nella disperazione e nei
propri flutti), allo stesso modo chi assiste a “Solo andata” percepisce a ogni
livello l’assedio con cui gli elementi e gli uomini serrano la gola ad altri
individui. La voce di Cossia assume colori sempre nuovi all’interno di un ritmo
che solo a un primo approccio risulta abbastanza uniforme: è lamento, rabbia,
nostalgia, sussulto del morente, respiro che ricomincia dopo un tempo
illimitato. Il dolore non si rinchiude tuttavia in se stesso, ma si fa atto
d’accusa alla cecità altrui. La “Profezia” di Pierpaolo Pasolini si innesta,
come svolta necessaria, nel discorso, ricordando che la vita è dove non la si
sospetta: nella miseria degli ultimi vi è la rinascita di un Occidente
anestetizzato da compromessi e meschinità. E la lirica di De Luca, “Valore”,
ricorda che non esiste una gerarchia tra i piccoli e grandi eventi che
intercettano un’esistenza. Ogni aspetto è prezioso, in ogni sguardo esistono,
malgrado violenza e disprezzo, mille possibilità.
mercoledì 1 maggio 2013
A Roma i Melisma in “Traumdeutung”
Piombare nell’inconscio
senza paracadute e lasciarsi trasportare dalle sensazioni legate alla musica di
parole in libertà. L’invito di “Traumdeutung” di Edoardo Sanguineti è chiaro e
non resta che accettarlo incondizionatamente. La compagnia Melisma (Loredana
Mauro, Emilio Barone, Francesco Petti, Carlo Roselli, che offrono qui una
performance del tutto coinvolgente) allestirà lo spettacolo il 2 e 3 maggio al
Teatro Tordinona di Roma. I protagonisti accolgono gli spettatori nel buio
completo con piccole pile, si mescolano a loro, intrecciano il resoconto dei
loro sogni in una straniante polifonia: espediente necessario per immergersi
subito nelle zone recondite della mente. Numeri, corpi, cadute libere,
distanze, spazi aperti, desideri si compongono progressivamente in un oratorio
onirico dove le voci diventano strumenti musicali a tutti gli effetti. Quando
la donna è immersa in un sonno agitato e le figure maschili si protendono ai
bordi del letto, incarnano le sue pulsioni, il rimosso sopraggiunto a rimuovere
la cosiddetta realtà. La sognatrice dona a sua volta voce a ciò che si agita
nella mente dei suoi compagni di viaggio, mentre le note di Giovanni Battista
Pergolesi e Salvatore Sciarrino creano da un lato un ironico contraltare,
sottolineando solennemente ciò che non si lascia categorizzare, dall’altro
ricordano l’inafferrabilità del suono, la sua capacità di ridefinire confini e
di annullarli. Mettete da parte ogni difesa razionale e questa felice anarchia
vi renderà liberi.
“Il gusto dell’intimità” al Teatro Obadiah
Inutile credere
che l’amore sia un modo per ritrovarsi: è in realtà il momento in cui fragilità
e illusioni appaiono in tutta la loro spietata concretezza. Il primo maggio
alle 21, al Teatro Obadiah di Oppido
Lucano, Carlotta Vitale e Mimmo Conte, che cura anche la regia, raccontano in
“Il gusto dell’intimità” il percorso accidentato di
due individui che vorrebbero scrivere insieme la propria storia, ma non
superano il divario tra il desiderio e l’alienante succedersi dei giorni. Lo
spettacolo della Compagnia Gommalacca Teatro, coprodotto dal Teatro Pubblico
Campano e vincitore del Premio Nuove Sensibilità 2010/2011, si basa su di una
serie di scelte espressive raffinate e crudeli: calici accostati lentamente che
alludono al bisogno di condivisione, uso disturbante della musica che rimanda
all’impossibilità di comunicare, vicinanze che allontanano fino a fare della
propria casa una sorta di campo di battaglia dove muoversi carponi, mentre una
luce raggelante è puntata sulla grottesca lotta per il telecomando, le immagini
di “Otto e mezzo” proiettate sullo sfondo per ribadire l’incompiutezza di un
dialogo. Se la solitudine non vede che se stessa, non resta che riservarsi un
ultimo sguardo, inseguendo ostinatamente nel ricordo tutto quel che non ha
avuto la forza di resistere a una vita fuori sincrono.
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