giovedì 28 maggio 2015

“Spingi e respira”, giocarsi l’anima su due ruote



“La vita e il ciclismo non ti regalano nulla”, dice l’uomo sul palco abituato da sempre a fronteggiare “la danza del vento” e “i pugni del caldo “. Per questo non si può fare altro che attingere a quel che si ha dentro, scavare nella pelle e nell’anima in ogni momento della corsa.  Accolto con entusiasmo presso il Piccolo Teatro del Giullare di Salerno, “Spingi e respira” di e con Lorenzo Praticò (che ha curato la regia con Gaetano Tramontana) ha segnato la seconda tappa di Geografie, la rassegna ideata e diretta da Vincenzo Albano che esplora le suggestioni del teatro contemporaneo calabrese. Lo spettacolo annulla qualunque distanza temporale e fisica tra il momento della gara, che è prima di tutto un immergersi in sé, un guardare fino in fondo alle proprie motivazioni e fragilità, e il passato che recupera forza a ogni istante attraverso un padre che è guida e complice. Che Praticò incarni da solo tutti i personaggi del racconto è naturale (una vita non è solo somma, ma fertile contaminazione tra altre vite) come lo è la scelta del vernacolo per le voci familiari. È un storia di sudore e polvere, di cose da conquistare e da abbandonare, e solo il dialetto, che è immedesimazione senza filtri nel fluire delle sensazioni, può restituire autenticità a quel che si vive. Il ciclismo diviene romanzo di formazione nell’accidentato percorso che va dalla voracità della vittoria alla consapevolezza dei propri limiti: il momento che mozza il respiro in cui tutto viene messo in gioco (speranze, amori, frustrazioni) e non resta che farsi travolgere o vivere nuovi slanci. Anima e corpo non sono mai cosi inscindibili come nella sfida su due ruote e se tutto è nello stesso frangente spirituale e corporeo anche oggetti e paesaggi possiedono una forza, come la bici che porta il nome di un’antica passione o la salita da conquistare, anzi, da amare e proteggere come una donna. In questo contesto la celebrazione di Fiorenzo Magni, di cui scorrono le immagini sullo schermo mentre Praticò diviene appassionato cantastorie,  funge da exemplum delle straordinarie conquiste della volontà (a questo servono gli eroi, a ricordarci cosa possiamo sognare) ma è anche caldo invito a trovare nel proprio animo l’energia di svincolarsi da nevrosi e timori. La corsa non ha fine, perché pedalare equivale a respirare e ci sono tante strade ancora da percorrere nella mente.

giovedì 7 maggio 2015

“NottePasolini Atto II”all’Università di Salerno


Lasciare il segno è prerogativa di pochi. Pasolini sapeva di dover combattere su ogni fronte: un Paese fintamente laico e fintamente cattolico, una cultura spesso dimentica della necessità di obbedire al senso critico, un pubblico assopito nell’assodato e spesso lontano da chi si mette in gioco senza mediazioni. Le parole dell’intellettuale, profetiche, scomode, lapidarie sono ancora un punto di riferimento per chi abbia la forza di credere nella libertà e “NottePasolini Atto II”, in programma a partire dalle ore 20.30 dell’8 maggio presso il Teatro dell’Università degli Studi di Salerno, vuole ripercorrere le tappe culminanti di un percorso quanto mai fertile dell’immaginario e dell’etica. La serata rientra tra le iniziative promosse da “UnisArt” (polo delle attività culturali dell’Ateneo) ed è diretta da Alfonso Amendola (cattedra di Sociologia degli audiovisivi sperimentali) in collaborazione con Luca Lanzetta (Art Director) e ha come media-partner UniSound (la web radio dell’Ateneo), l’Associazione “MusicAteneo”, “Telecolore”, Rivista Milena, “Davicon Productions” e “MPS Social”. Dopo i saluti istituzionali di Aurelio Tommasetti  - Magnifico Rettore Università di Salerno- e di Pina De Luca - Delegato del Rettore alle Arti e allo Spettacolo (coordinamento UnisArt)-, si terrà il reading musicale a cura di Pasquale De Cristofaro (attore, regista) e Gianfranco Rizzo (presidente Associazione Musicateneo, che curerà le musiche). Nel lavoro tratto dal pasoliniano “Poeta delle ceneri”, il volto dell’autore prenderà corpo grazie ad un lavoro dell’associazione Davicon Productions e a partire da un dipinto dell’artista Marianna Battipaglia, per dimostrare come filosofia e poesia fossero in lui inscindibili. Le testimonianze video della celebre fotografa Letizia Battaglia e di Enrique Irazoqui, protagonista de “Il Vangelo secondo Matteo”, permetteranno di conoscere aspetti nuovi del poeta, mentre la narrazione “Nel ventre della Balena” di Elio Goka (scrittore) e Davide Speranza (giornalista e narratore)  traccerà un itinerario da Melville alla Fallaci per riflettere sul contrasto tra l’individuo e ciò che lo minaccia. La serata si concluderà alle 21.45 con “Davanti agli occhi”, lo spettacolo basato su testi di Elio Goka e diretto da Antonio Grimaldi in cui le tematiche di Pasolini diventano occasione per riflettere sui mali di una modernità che si è illusa di aver saldato i conti con se stessa.(Nelle foto, Alfonso Amendola e la Compagnia Teatro Grimaldello)

mercoledì 6 maggio 2015

“Penelope tango”, alla ricerca della propria anima



Non vi è molta differenza tra Itaca e un appartamento moderno. Sono secoli che le donne attendono uomini che si ricordino di tornare da loro. E l’autocoscienza spesso passa attraverso il momento sospeso e incerto dell’abbandono. Giocato abilmente su toni ironici e dolenti, “Penelope tango” è lo spettacolo applaudito presso il Piccolo Teatro del Giullare di Salerno in cui la regista Licia Amarante punta la messinscena su una simmetria emotiva che accosta ciò che è solo all’apparenza distante. Padrona del palco in ogni momento, Antonella Valitutti è la sposa di Ulisse, forte della sua dignità e del suo tormento, che non sfugge né alla fragilità né alla consapevolezza dell’ipocrisia che l’attornia (attendere è un’arte sottile e crudele, chi l’osserva da lontano non può coglierne i meccanismi, la determinazione, la consacrazione). L’attrice veste però anche i panni, con comici effetti, della donna che nutre rancore per il compagno che l’ha lasciata, prigioniera della sua ossessione come la regina greca lo è della sua solitudine. Nel fare i conti con la presenza e l’assenza, ugualmente gravose, dell’amato, Marika Mancini costruisce un personaggio tenero e paziente in continua evoluzione. Compie infatti un lungo cammino da semplice sfondo dell’egoismo maschile, scelta che la rende simile alla pianta innaffiata sul palco, a persona in grado di accettarsi per ciò che è e non per quel che la lega a chi del legame può fare tranquillamente a meno. La scenografia, ridotta all’essenziale per evidenziare ciò che vivono le protagoniste, ha il suo fulcro in un telaio (la mescolanza dei fili riflette l’intrico dei pensieri), che è anche una persiana semiaperta, sigillo di un’esistenza a cui è negato uno sbocco. Sarà appunto il telaio a essere tagliato dalle due donne, che si scoprono l’una il riflesso dell’altra, nella conclusione. Se un fantasma ha tenuto in ostaggio il loro tempo, la loro identità è infinitamente più concreta dei miraggi e delle promesse di chi ha scelto di non esserci anche quando è presente. L’attesa è finita. Si può iniziare a vivere.