mercoledì 26 agosto 2015

“Scritture viventi”, il linguaggio secondo Tomaso Binga



Emerge immobile dalla tappezzeria di cui è rivestita. Recita “Io sono una carta” dove, in un crescendo di tensione, l’innocuo materiale si trasforma in una cartuccia da sparare, abbandona su una sedia a dondolo il suo abito e lascia la scena. È il 1977 e Tomaso Binga, al secolo Bianca Pucciarelli Menna, sta conducendo la sua personalissima battaglia in difesa di un’idea allora tutt’altro che assodata: la donna come soggetto attivo di ogni percorso sociale e non semplice oggetto di una visione maschile. E lo fa reinventando il linguaggio perché diventi piena espressione di libertà attraverso differenti modalità espressive: un legame con il palco in cui tutto sia di continuo reinventabile, l’Alfabetiere Murale (le lettere sono espresse dal suo corpo), il Dattilocodice (la sovrapposizione di lettere alla macchina da scrivere per un’iconografia emozionale) e la musicalità mai addomesticabile della poesia sonora, per citare solo alcuni esempi. Il suo percorso è illustrato nell’agile volume della collana Il presente dell’arte edito da Plectica, “Scritture viventi” a cura di Antonello Tolve e Stefania Zuliani, autori  tra l’altro di una bibliografia ragionata estremamente puntuale. Zuliani ricorda come Binga abbia sempre sovvertito la concezione artistica in nome di una contaminazione che si facesse discorso aperto e coinvolgente del senso del corpo e della parola. Il dialogo multiculturale diviene sistematica messa in gioco del sapere nel centro culturale diretto dall’artista, il Lavatoio Contumaciale a Roma che Lorenzo Mango ricorda come spazio “che si inteatra, si disegna come teatrabile”. Il filo che unisce Binga ad Artaud è enucleato da Pierfrancesco Giannangeli, dato che il “linguaggio fisico a base di segni e non più di parole” diviene la peculiarità di una performance in cui poesia e ironia aprono infinite possibilità di approccio al reale. Che il segno linguistico sia da sempre per questa artista un terreno da conquistare a una risemantizzazione che annulli ogni mediazione tra carne e vocabolo, tra immagine e fonema è una scelta oggetto della riflessione di Tolve. L’ampia antologia critica esamina la produzione di Binga tra gli anni 70 e il 2000. Ermanno Migliorini pone l’accento su come in lei la scrittura smantelli la specificità dell’elemento artistico per aprirlo a nuove capacità interpretative, Giulio Carlo Argan nota come “la regressione della parola a segno” ampli il raggio della comunicazione, Giorgio Cortenova si sofferma sull’attitudine del significante ad espandersi, tracciando nuove vie alla percezione. Romana Loda ricorda come la concretezza fisica dell’artista opponga la totalità della persona all’astrazione in nome di un’umanità da preservare. I versi di Vincenzo Agnetti narrano “di belle cose seminate con le dita/ sul proprio corpo come altra terra”, mentre il Dattilocodice è per Italo Mussa il luogo di una mutazione polisemica basata sulla disappartenza della lettera a se stessa e per Mirella Bentivoglio ricorda l’origine pittografica della lingua. L’empatia e la paziente costruzione di prospettive contro tutti i vincoli animano “Ti scrivo solo di domenica”, la perfornance analizzata da Gillo Dorlfes. In un anno di corrispondenza con un’amica a cui sono inviati sette biglietti alla settimana, solo il settimo contiene un messaggio, dato che la domenica è l’unico giorno di genere femminile. Il tempo diviene cosi spazio di urgenze e sensazioni che rivendicano il diritto a riscrivere la vita. La desemantizzazione orchestrata da Binga contro una stasi in realtà fortemente ambigua del dato grafico è un aspetto cruciale secondo Elverio Maurizi e Francesco Moschini si misura col passaggio dalla piena identificazione tra opera e creatrice al rarefarsi magmatico della forma nel ciclo dei Biographic, in cui più che vocazione alla pittura si ravvisa un dinamismo refrattario alla tirannia della categoria. Paolo Balmas evidenzia a sua volta la libertà che la scrittura sa attuare nel farsi corpo e nello scrivere “Mimando il conturbante rende presente il disturbante” Cesare Milanese fotografa l’essenza del suo itinerario. La sperimentazione continua di mezzi artistici per rendere il gesto e il suono armi contro ogni ipocrisia e violenza occupa la riflessione di Angelo Trimarco, cosi’ come l’impegno in vista di una società migliore è la traccia che Francesco Muzzioli segue nel considerare significato e significante pedine di un gioco in cui Binga investe tutta l’energia propria di chi vuole fare dell’arte l’ambito di un pensiero non allineato.