“La vita e il
ciclismo non ti regalano nulla”, dice l’uomo sul palco abituato da sempre a
fronteggiare “la danza del vento” e “i pugni del caldo “. Per questo non si può
fare altro che attingere a quel che si ha dentro, scavare nella pelle e
nell’anima in ogni momento della corsa.Accolto con entusiasmo presso il Piccolo Teatro del Giullare di Salerno,
“Spingi e respira” di e con Lorenzo Praticò (che ha curato la regia con Gaetano
Tramontana) ha segnato la seconda tappa di Geografie, la rassegna ideata e
diretta da Vincenzo Albano che esplora le suggestioni del teatro contemporaneo
calabrese. Lo spettacolo annulla qualunque distanza temporale e fisica tra il
momento della gara, che è prima di tutto un immergersi in sé, un guardare fino
in fondo alle proprie motivazioni e fragilità, e il passato che recupera forza
a ogni istante attraverso un padre che è guida e complice. Che Praticò incarni
da solo tutti i personaggi del racconto è naturale (una vita non è solo somma,
ma fertile contaminazione tra altre vite) come lo è la scelta del vernacolo per
le voci familiari. È un storia di sudore e polvere, di cose da conquistare e da
abbandonare, e solo il dialetto, che è immedesimazione senza filtri nel fluire
delle sensazioni, può restituire autenticità a quel che si vive. Il ciclismo
diviene romanzo di formazione nell’accidentato percorso che va dalla voracità
della vittoria alla consapevolezza dei propri limiti: il momento che mozza il
respiro in cui tutto viene messo in gioco (speranze, amori, frustrazioni) e non
resta che farsi travolgere o vivere nuovi slanci. Anima e corpo non sono mai
cosi inscindibili come nella sfida su due ruote e se tutto è nello stesso
frangente spirituale e corporeo anche oggetti e paesaggi possiedono una forza,
come la bici che porta il nome di un’antica passione o la salita da
conquistare, anzi, da amare e proteggere come una donna. In questo contesto la
celebrazione di Fiorenzo Magni, di cui scorrono le immagini sullo schermo
mentre Praticò diviene appassionato cantastorie,funge da exemplum delle straordinarie
conquiste della volontà (a questo servono gli eroi, a ricordarci cosa possiamo
sognare) ma è anche caldo invito a trovare nel proprio animo l’energia di
svincolarsi da nevrosi e timori. La corsa non ha fine, perché pedalare equivale
a respirare e ci sono tante strade ancora da percorrere nella mente.
Lasciare il segno è
prerogativa di pochi. Pasolini sapeva di dover combattere su ogni fronte: un
Paese fintamente laico e fintamente cattolico, una cultura spesso dimentica
della necessità di obbedire al senso critico, un pubblico assopito
nell’assodato e spesso lontano da chi si mette in gioco senza mediazioni. Le
parole dell’intellettuale, profetiche, scomode, lapidarie sono ancora un punto
di riferimento per chi abbia la forza di credere nella libertà e “NottePasolini Atto II”, in programma a partire dalle
ore 20.30 dell’8 maggio presso il Teatro dell’Università degli
Studi di Salerno, vuole ripercorrere le tappe culminanti di un percorso quanto
mai fertile dell’immaginario e dell’etica. La serata rientra tra le iniziative
promosse da “UnisArt” (polo delle attività culturali dell’Ateneo) ed è diretta
da Alfonso Amendola (cattedra di Sociologia degli audiovisivi sperimentali) in
collaborazione con Luca Lanzetta (Art Director) e ha come media-partner
UniSound (la web radio dell’Ateneo), l’Associazione “MusicAteneo”,
“Telecolore”, Rivista Milena, “Davicon Productions” e “MPS Social”. Dopo
i saluti istituzionali di Aurelio Tommasetti- Magnifico Rettore Università di Salerno- e di Pina De Luca - Delegato
del Rettore alle Arti e allo Spettacolo (coordinamento UnisArt)-,si terrà il reading musicale a cura di Pasquale De Cristofaro
(attore, regista) e Gianfranco Rizzo (presidente
Associazione Musicateneo, che curerà le musiche). Nel lavoro tratto dal
pasoliniano “Poeta delle ceneri”, il volto
dell’autore prenderà corpo grazie ad un lavoro dell’associazione Davicon
Productions e a partire da un dipinto dell’artista Marianna Battipaglia, per
dimostrare come filosofia e poesia fossero in lui inscindibili. Le
testimonianze video della celebre fotografa Letizia Battaglia e di
Enrique Irazoqui, protagonista de “Il Vangelo secondo Matteo”, permetteranno di
conoscere aspetti nuovi del poeta, mentre la narrazione “Nel ventre della
Balena” di Elio Goka (scrittore) e Davide Speranza (giornalista e narratore)traccerà un itinerario da Melville alla
Fallaci per riflettere sul contrasto tra l’individuo e ciò che lo minaccia. La
serata si concluderà alle 21.45 con “Davanti agli occhi”, lo spettacolo basato
su testi di Elio Goka e diretto da Antonio Grimaldi in cui le tematiche di
Pasolini diventano occasione per riflettere sui mali di una modernità che si è
illusa di aver saldato i conti con se stessa.(Nelle foto, Alfonso Amendola e la Compagnia Teatro Grimaldello)
Non vi è molta differenza tra Itaca e un appartamento
moderno. Sono secoli che le donne attendono uomini che si ricordino di tornare
da loro. E l’autocoscienza spesso passa attraverso il momento sospeso e incerto
dell’abbandono. Giocato abilmente su toni ironici e dolenti, “Penelope tango” è
lo spettacolo applaudito presso il Piccolo Teatro del Giullare di Salerno in
cui la regista Licia Amarante punta la messinscena su una simmetria emotiva che
accosta ciò che è solo all’apparenza distante. Padrona del palco in ogni
momento, Antonella Valitutti è la sposa di Ulisse, forte della sua dignità e
del suo tormento, che non sfugge né alla fragilità né alla consapevolezza
dell’ipocrisia che l’attornia (attendere è un’arte sottile e crudele, chi
l’osserva da lontano non può coglierne i meccanismi, la determinazione, la consacrazione).
L’attrice veste però anche i panni, con comici effetti, della donna che nutre
rancore per il compagno che l’ha lasciata, prigioniera della sua ossessione
come la regina greca lo è della sua solitudine. Nel fare i conti con la
presenza e l’assenza, ugualmente gravose, dell’amato, Marika Mancini costruisce
un personaggio tenero e paziente in continua evoluzione. Compie infatti un
lungo cammino da semplice sfondo dell’egoismo maschile, scelta che la rende
simile alla pianta innaffiata sul palco, a persona in grado di accettarsi per
ciò che è e non per quel che la lega a chi del legame può fare tranquillamente
a meno. La scenografia, ridotta all’essenziale per evidenziare ciò che vivono
le protagoniste, ha il suo fulcro in un telaio (la mescolanza dei fili riflette
l’intrico dei pensieri), che è anche una persiana semiaperta, sigillo di
un’esistenza a cui è negato uno sbocco. Sarà appunto il telaio a essere
tagliato dalle due donne, che si scoprono l’una il riflesso dell’altra, nella
conclusione. Se un fantasma ha tenuto in ostaggio il loro tempo, la loro identità
è infinitamente più concreta dei miraggi e delle promesse di chi ha scelto di
non esserci anche quando è presente. L’attesa è finita. Si può iniziare a
vivere.