Accogliere
l’unico nipote rimasto orfano, ultimo rampollo del proprio sangue? Scelta nobilissima,
soprattutto se si ha il pessimo gusto di non essersi riprodotta, colpa
rimproverata alla protagonista dai genitori defunti: il piacere di sputare
sentenze val bene il ritorno dalla morte. Le aspettative però andranno
amaramente in frantumi. Proposto al Centro Sociale di Salerno all’interno di
Mutaverso, il progetto teatrale di Vincenzo Albano, “La buona educazione”,
diretta da Mariano Dammacco, è il tagliente monologo in cui Serena Balivo crea
la fertile inquietudine del suo personaggio sotto un atteggiamento all’apparenza
a senso unico (voce cadenzata, movimenti misurati, sguardo che esprime la
fatica del controllo). Gli automi attorno alla donna nel suo salotto di altri
tempi (perché è antica la sua voglia di educare secondo un’etica) preannunciano
una società in cui tutto è catalogato e incasellato tranne dare il meglio di sé:
il bando per ottenere l’affido del giovane, identificato solo come “il ragazzo”,
la giuria popolare che osserva voracemente la vicenda, la visita della
psicologa simile a un’operazione chirurgica. Se però la zia conosce un’evoluzione
psicologica dall’amore per la solitudine all’empatia, non si può dire lo stesso
dell’incongruo ammasso di ormoni piombatole in casa: un no lo trasforma in un
indemoniato, si esprime all’infinito, non ha priorità oltre l’uso del wi-fi. E poiché
il feroce sarcasmo della vicenda non prevede che i morti siano più saggi dei
vivi, lo spettro della madre del giovane non lesinerà effetti da grandguignol
per scoraggiare la sorella dall’iscriverlo al liceo classico. Ciò che non è
produttivo non ha motivo di esistere. E allora la faticosa intesa, frutto di
comici tentativi di dialogo, fallirà, perché il giovane non saprà che farsene
della dedizione di chi ha voluto vedere in lui una persona. La terra sparsa sul
palcoscenico è d’altronde indizio dei nostri tempi: non porta in grembo alcun
raccolto, ma seppellisce il bisogno di essere.
Si
può ricorrere quanto si vuole al mantra dell’automotivazione, immaginandosi
pieni padroni della propria vita, ma quel regista assurdo che è il caso ama
barare. Saggiamente feroce nel sarcasmo come nei rimandi simbolici, “Docile” è
lo spettacolo di Gianni Farina e Consuelo Battiston, che vede quest’ultima in
scena con Andrea Argentieri, proposto presso il Centro Sociale di Salerno
nell’ambito di Mutaverso, il progetto di Erre Teatro diretto da Vincenzo
Albano. Il coinvolgimento del pubblico nell’allestimento dimostra che avere
l’ultima parola contro ogni frustrazione è illusione comune. I fogli su cui riportare
obiettivi e strategie sono cartelle della tombola e al momento di vergare una
frase liberatoria, una scritta fluorescente nel buio recita “Lascia perdere”.
Lo psicologo che trasuda energia e si propone come mentore della protagonista e
della platea incarna dunque il bluff a cui va incontro il desiderio di
riscatto. Linda, ansiosa, tenera, insicura, esponente di una classe subordinata
che non ha le categorie per essere felice, vorrebbe non essere più ostaggio di un
passato ingombrante: un padre alcolizzato allevatore di galline e una madre
convinta che “La vita l’è uno stampo” e dunque va in ogni caso accettata. Il
passato la marchierà fino a trasformarla in una generatrice di uova d’oro,
suscitando la cupidigia di un medico che ostenta una conoscenza antica quanto
il mondo, mentre è ancora più antico il bisogno di possedere. Le citazioni di
Esopo del dottore e i numeri scanditi dalla donna al momento del “parto” mirano
a fare del nuovo inizio, che l’uovo da sempre rappresenta, una conquista della
logica, ma le infinite variabili, che ad essa si sottraggono, riescono a
imporsi. Linda lavorerà per pura combinazione in una sala bingo, dove le cifre
di colpo si succederanno dall’uno al sette per lasciare il posto al segno
dell’infinito: l’illimitata derisione di un criterio stabile. Le cifre ripetute
all’unisono dalla “paziente” e dallo psicologo sono il tentativo vano di
rendere credibile un’intesa: il numero non è più porta sul reale ma azzardo indecifrabile.
Verrà il coraggio di dichiararsi, di voltare le spalle all’avido medico, ma
l’insegna luminosa, che ha indicato le caratteristiche della protagonista prima
ancora che venisse al mondo e ha scandito ogni momento della vicenda, ripete la
frase iniziale: era deciso prima che tu nascessi. L’uovo che in terra Linda fa
ruotare come in una roulette prepara l’ennesimo ondeggiare tra aspirazione e
scacco, tra un’esistenza che appartenga a chi la vive e una pronta a giocare
come il gatto col topo.