giovedì 16 maggio 2019

“La buona educazione”, l’impari lotta contro il mondo di oggi



Accogliere l’unico nipote rimasto orfano, ultimo rampollo del proprio sangue? Scelta nobilissima, soprattutto se si ha il pessimo gusto di non essersi riprodotta, colpa rimproverata alla protagonista dai genitori defunti: il piacere di sputare sentenze val bene il ritorno dalla morte. Le aspettative però andranno amaramente in frantumi. Proposto al Centro Sociale di Salerno all’interno di Mutaverso, il progetto teatrale di Vincenzo Albano, “La buona educazione”, diretta da Mariano Dammacco, è il tagliente monologo in cui Serena Balivo crea la fertile inquietudine del suo personaggio sotto un atteggiamento all’apparenza a senso unico (voce cadenzata, movimenti misurati, sguardo che esprime la fatica del controllo). Gli automi attorno alla donna nel suo salotto di altri tempi (perché è antica la sua voglia di educare secondo un’etica) preannunciano una società in cui tutto è catalogato e incasellato tranne dare il meglio di sé: il bando per ottenere l’affido del giovane, identificato solo come “il ragazzo”, la giuria popolare che osserva voracemente la vicenda, la visita della psicologa simile a un’operazione chirurgica. Se però la zia conosce un’evoluzione psicologica dall’amore per la solitudine all’empatia, non si può dire lo stesso dell’incongruo ammasso di ormoni piombatole in casa: un no lo trasforma in un indemoniato, si esprime all’infinito, non ha priorità oltre l’uso del wi-fi. E poiché il feroce sarcasmo della vicenda non prevede che i morti siano più saggi dei vivi, lo spettro della madre del giovane non lesinerà effetti da grandguignol per scoraggiare la sorella dall’iscriverlo al liceo classico. Ciò che non è produttivo non ha motivo di esistere. E allora la faticosa intesa, frutto di comici tentativi di dialogo, fallirà, perché il giovane non saprà che farsene della dedizione di chi ha voluto vedere in lui una persona. La terra sparsa sul palcoscenico è d’altronde indizio dei nostri tempi: non porta in grembo alcun raccolto, ma seppellisce il bisogno di essere.

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