martedì 8 luglio 2014

Gli Atterraggi poetici pericolosi di Tomaso Binga



Sa divertire come pochi, ma il disimpegno non è nelle sue corde. Sguinzaglia la forza anarchica del linguaggio, ma il gioco è sempre proteso oltre se stesso, verso il coinvolgimento senza filtri dello spettatore. Esponente di spicco della poesia visiva e aperta da sempre a ogni sorta di sperimentazione artistica, Tomaso Binga, al secolo Bianca Pucciarelli Menna, è stata applaudita presso la Galleria Tiziana Di Caro di Salerno nella sua performance Atterraggi poetici pericolosi nell’ambito di Salerno Letteratura. Accompagnata dal sassofono di Michele Vassallo, ha recitato composizioni frutto di una poetica dai cardini ben precisi: la vocazione dell’artista ad aprire gli occhi, la denuncia dell’ottusità del potere, la necessità di un mutamento nella prospettiva. “Con quaranta gradi all’ombra e novantotto di umidità” è una sineddoche al vetriolo, in cui a ogni parte del corpo corrisponde un atteggiamento ostile: l’occhio che guarda la “roba espropriata per carità”, ovvero le ricchezze della Chiesa; il braccio che colpisce “angeli e galeotti/assetati di sole”, il “culo” che “non ha storia”, è “un infortunio sul lavoro”, appannaggio dei poveri “in cerca d’identità”. Si prosegue con “La storia”, in cui l’interrogativo esistenziale sul rapportarsi agli avvenimenti diventa sarcastica escursione nel vocabolario (come porci con la storia? Come porci, orci, sorci, occhi?) per invitare a un approccio tutt’altro che passivo, senza dimenticare che “tutti i capi sono rei” e dunque solo chi ha un atteggiamento critico verso il potere non ne è schiavo.“Azzerare i lazzaroni” è uno degli scopi di “Mutazioni”, in cui il ritmo martellante che culmina nel titolo rovesciato è uno sprone a cambiare se stessi e il proprio contesto e con la stessa energia sono ribaltate le categorie di genere in “Io sono una carta”. Un dolente senso di riscatto civile è alla base di “La bella addormentata”, ovvero la pace, vegliata, non a caso, da donne che nel sepolcro attendono pazienti il suo risveglio (Binga non perde mai d’occhio i molti ostacoli che impediscono tuttora alle donne di realizzarsi e realizzare qualcosa che duri). Oggetto di lucida derisione è infine la retorica fuorviante e deformante del politichese in “Porcondiciò”, opera tutta basata sulla questione delle “ruote rosa”, “le ultime ruote del carro”, con la speranza che il “Porcondiciò” diventi par condicio. Il messaggio è più che chiaro: attraverso un uso funambolico della lingua, l’autrice vuole una piena affermazione della dimensione femminile del vivere, in poche parole della libertà, della creatività, dell’impegno a non tradire la propria natura.

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