domenica 27 luglio 2014

“Simile a Cristo”, un’intensa rilettura di Viviani



La miseria, la sfrontatezza, l’amore. Ma anche la forza di battersi per i propri sogni, soprattutto quando sognare è l’unica via d’uscita. Con lo spettacolo “Simile a Cristo”, il regista Antonio Grimaldi ha proposto al Teatro Nuovo di Salerno una rilettura del capolavoro di Raffaele Viviani, “Zingari”, secondo l’approccio che gli è più congeniale: condurre al parossismo le possibilità espressive del corpo e giocare la messinscena sul filo del simbolismo e di un’allegoria che colpiscano immediatamente lo spettatore. Pia Ansalone, Emiliano Avallone, Leopoldo Brindisi Malanga, Gemma de Cesare, Gianluca De Stefano, Rossella Forziati, Gabriella Landi, Chiara Manzo, Alessandra Menchini,Gabriella Orilia Anna Piccolo, Mat Thew, Alfonso Tramontano Guerritore costruiscono una vicenda in cui il testo diviene lo spunto per aprire un conflitto irrisolvibile tra l’anarchia del desiderio e la legge del branco, che riconosce solo se stessa. Gennarino, il protagonista, vuole imporsi al di sopra di essa. All’inizio della messinscena, non a caso, è posto su di un piedistallo che sovrasta gli interpreti striscianti in un mare di fiori che gli spettatori sono stati invitati a gettare sul palco: quello che si vede è più vicino di quel che sembri- chi non ha sognato e cercato di difendere quel sogno?- e il “contributo” alla scenografia crea un’empatia con la platea. Il Diavolone, il padrone di questo mondo geloso dei propri riti tribali, siede al lato di quel mare umano con la sicurezza di chi è chiamato a guidarlo. Palomma, oggetto del desiderio di entrambi, è vittima della sua fragilità che appassisce in questo gioco di sopraffazioni ed egoismi. Gli attori creano movimenti scenici che ondeggiano di continuo tra la crudeltà e l’attonito assistere alla capacità di rigenerarsi che solo la passione può avere. E proprio come Cristo, Gennarino muore e risorge inseguendo una felicità destinata a fossilizzarsi in un unico eterno istante(si pensi al beffardo fermo-immagine in cui l’aguzzino di Palomma si muove ironico tra i partecipanti al suo sposalizio, immobili come statue). Eppure un’anima non può tradire se stessa: sarebbe quella la vera morte.

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