mercoledì 24 settembre 2014

"Close Up Medea", il dissidio tra corpo e anima



“Me ne intendo di si”, dice il dottore che crede di avere nelle proprie mani la donna che gli sta di fronte. Ma non si può chiedere alla principessa della Colchide di rinnegare se stessa e ciò che è scritto nella carne torna a sconvolgere ogni punto di riferimento. “Close Up Medea” è lo spettacolo che Teatrazione Teatro ha proposto con successo all’Arco Catalano Fest di Salerno. Ispirata liberamente al “Purgatorio” di Ariel Dorfman, la messinscena è costruita su di una corporeità che si fa eco di quel che si vorrebbe cancellare: l’impossibilità di concepirsi separati da ciò che ha mutato per sempre un percorso, il desiderio di protendersi in un altrove da riscrivere, un amore malato per quel che è stato distrutto ma sopravvive nel ricordo. Molto più di una follia a due. Giasone e Medea sono di volta in volta se stessi e i propri medici, rivolti a una redenzione che non si concretizzerà mai (un Igor Canto che oscilla sagacemente tra flemma e fragilità e una Cristina Recupito cosi intensa da lasciare interdetti) non perché l’identità sia quanto mai labile, ma perché passato e presente, azione e resa dei conti sono solo i nomi da dare al rapporto irrisolvibile con ciò che si è stati e si potrebbe essere. Quando all’inizio della pièce i due emergono da un drappo rosso come da una crisalide e si allontanano solo all’apparenza, uniti da esso, che ha il colore della vita e del sangue, esprimono quella prigione inviolabile che è l’io, costretto a contemplarsi e rivivere nell’altro. È in quel drappo che viene avvolta colei che ha osato divenire tomba dei suoi figli e a lei viene consegnato il pugnale dell’uccisione: il ricatto che inchioda il colpevole alla colpa per manipolarlo meglio. La piccola telecamera che filma gli incontri allude a una logica superiore in cui inquadrare la vicenda, ma è solo l’ennesimo inganno di chi si creda superiore alle pulsioni e all’irrazionale. “Non saprei dove andare”, dicono i personaggi vestiti da medici, come a dire che non si può guardare dall’alto la forza oscura del desiderio e della distruzione, ma solo lasciarsi attraversare da essa. E quando Medea contempla con una tenerezza dolente la stoffa rossa (la vita persa eppure presente) e i due tornano a distendersi al suolo sulle note di “Cu te li dissi” d Rosa Balistrieri,  leit-motiv di quel che non è possibile dimenticare, il bisogno ancestrale di perdersi in chi è di fronte inghiotte tutto e il corpo dell’uno si fa confine e orizzonte del corpo dell’altro.

Nessun commento:

Posta un commento