giovedì 2 aprile 2015

“Il chiodo fisso”, la feroce ironia dell’ossessione



Che le luci del palco si accendano su una madre vestita da gallina non deve stupire. La cova e la crescita del proprio piccolo comportano la stessa cura, la stessa passione, la stessa devozione. E niente e nessuno deve intromettersi in questo perfetto equilibrio. Accolto con entusiasmo presso il Piccolo Teatro del Giullare, “Il chiodo fisso” di Manlio Santanelli conferma la vocazione del regista Antonio Grimaldi all’esasperazione giocosa (e dunque di immediata presa) delle componenti grottesche di un testo che, nel suo amore per la concretezza, tratteggia in modo implacabile un’ossessione. Non è certo un’impresa da mammole difendere il frutto del proprio ventre: suoni e punteggi da videogioco ne sottolineano comicamente la dimensione eroica. Le difficoltà sono infinite. Dal carrozzino azzurro al fianco della genitrice uscirà un giovane allontanato da scuola, sport, divertimento, ragazze? Ed eco che la protagonista si trasforma in cultrice dello sport, frequentatrice di discoteche, entraineuse, portabandiera della Vergine contro la tirannia del servizio militare, pur di impedire al suo “ranocchietto” anche solo di immaginare uno spazio alternativo a quello della propria casa. Anna Rita Vitolo dà prova di straordinaria versatilità nell’illustrare la folle tenacia del possesso, mentre la distanza tra chi osserva e l’assurdità del gioco si assottiglia attraverso il sarcasmo (“Je t’aime, moi non plus” come colonna sonora dell’alcova domestica, per esempio). L’ottusità di chi non concepisce altro da sé si manifesta anche nella straniante trattativa intavolata con una spettatrice per assicurare un costante sostegno sessuale al prediletto così da evitare  distrazioni (un’immigrata, ovvio: cos’altro aspettarsi da quel tipo di donna?) salvo tornare sui propri passi, temendo che il rimedio sia più pericoloso del male. È del resto proprio di una mentalità asfittica come quella borghese escludere dal proprio orizzonte chiunque osi spingere lo sguardo verso il proprio orticello. Ma eco il re di tutti gli ostacoli: l’Amore. Il matrimonio. Magari proprio con la compagna di banco che si era fatto di tutto per allontanare: uno scacco che mostra come la sessualità del rampollo sia rimasta alla fase pre-adulta. Bisogna dunque darci, alla lettera, un taglio. Vestita da Wonder Woman, data la grandiosità della prova, ecco che la nostra antieroina si avvicina al bimbo con un paio di forbici. La castrazione riflette la preclusione della crescita che si ha quando non esiste altro che il proprio oggetto del desiderio. E mentre si ride non si può non pensare che un mostro sia la deriva che può attendere chiunque.

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