lunedì 2 gennaio 2017

Successo al Giullare di Salerno per “Fragile”



Com’è difficile essere all’altezza di ciò che non ci somiglia. Ancor più difficile però è mettere a tacere la propria anima. Tre donne (in realtà quattro con l’anziana Naomi, interpretata all’unisono dalle tre attrici perché può incarnare l’esito dei percorsi precedenti) si misurano con quello che la vita pretende da loro in “Fragile” di Arnold Wesker, che Licia Amarante e Antonella Valitutti hanno diretto presso il Piccolo Teatro del Giullare di Salerno. I ruoli richiesti all’altra metà del cielo sono spesso scomodi: la donna amorevole e premurosa che non vede oltre una serie di riti formali e che non a caso appare di spalle all’inizio dello spettacolo, dato che la forma può tranquillamente fare a meno dell’essenza (Stephanie, che Marika Mancini crea con appassionata dedizione), la madre che deve combattere con i malumori della figlia (Ruth, che ha il volto dell’ironica e tenera Bernadette Landi), la scrittrice chiamata a giustificare il suo successo (Annabelle, tratteggiata con acuto disincanto da Rosita Speciale). Nulla è tuttavia più debole delle maschere e ciò che è stato attentamente nascosto riemerge. L’abbandono del marito, attratto da un’altra, spinge Stephanie a comprendere di non averlo mai amato, divenendo di fatto estranea a se stessa per la forza dell’abitudine. La divina monella, come Ruth chiama sua figlia (Carlotta Costantino che appare con la leggerezza del sogno, perché tale è ogni ragazza per chi la genera), induce la donna a prendere atto del suo bisogno d’amore dietro l’ostentata indipendenza da ogni uomo. Annabelle deve rispondere per due volte alla stessa intervista attraverso la voce fuori campo di Antonella Valitutti: conoscere davvero è impegnativo ed è meglio restare nel solco dell’assodato. Se però in un primo momento l’autrice manifesta il suo approccio viscerale alla scrittura, come se fosse dominata dai suoi personaggi, in seguito si dice interessata esclusivamente alla fama e al potere. La cecità di un mondo incapace di comprendere è denunciata dal suo cinismo. Le protagoniste hanno tutte perso qualcosa, ma non la capacità di sentirsi vive, di ascoltarsi, di cogliere ciò che altri non vedono. La vecchia Naomi, a cui resta soltanto la telefonata di un nipote a farle compagnia, fa bene a ridere del principe azzurro: è l’idea che un miraggio possa colmare un vuoto a essere davvero fragile.

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