martedì 1 agosto 2017

“Spaccanapoli Times”, il tempo come sogno



Echi letterari, senso del gioco, amore del paradosso, ambiguità e nitore che rimandano l’uno all’altra. Il linguaggio in Ruggero Cappuccio è oggetto di una cura maniacale, ma è anche invito al pubblico a tenere accesi i sensi, a scovare il lato sorprendente delle parole. È ciò che accade in “Spaccanapoli Times”, lo spettacolo accolto calorosamente  dal pubblico del Teatro Verdi di Salerno. Cappuccio, che ironizza su se stesso nel ruolo di Giuseppe Acquaviva, conta su interpreti d’eccezione. Gea Martire è efficacissima nel mostrare un personaggio smarrito nei suoi affetti che tenta di razionalizzare ciò che è decisamente lontano dalla logica, ovvero, appunto, la vita amorosa. La passionale Marina Sorrenti ha qualcosa di stregonesco nella sua “sicilianità”, Giovanni Esposito crea un sorprendente ritratto di nevrotico, Giulio Cancelli e Ciro Damiano costruiscono in modo rigoroso i ritratti dello spasimante e del dottore. Quattro fratelli cercano di ottenere il riconoscimento di un’invalidità, che è certificazione di una precisa mancanza: l’inconciliabilità con uno spazio/tempo non interessato a riconoscerli (la via Spaccanapoli dove sorge la loro casa non ha più nulla del passato) e il diritto a vivere in una realtà che a loro volta non riconoscono. I riferimenti al capitalismo e alla guerra mostrano infatti come sia facile divenire stranieri a un contesto che tende solo al cannibalismo etico. Le innumerevoli bottiglie d’acqua della scenografia tentano di imprigionare la vita e la memoria in una dimensione condannata a essere fragile. Lo stesso protagonista, dettando per telefono a un amico le sue memorie di nascosto, vuole sottrarre all’invisibilità una traccia di sé. La natura contraddittoria dei rapporti umani è comicamente evidenziata, ma si avverte un senso di precarietà che si contrappone sistematicamente al bisogno di difendere dal nulla sensazioni e aspirazioni. Lo struggente finale, in cui i fratelli di Giuseppe sembrano proiezioni di quest’ultimo, fantasmi da accogliere nel crepuscolo dell’esistenza, vuole ricordare che, se la vita è sogno, non si può che sognarla con ostinazione sempre maggiore.

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