sabato 5 agosto 2017

Clitennestra e la furia del desiderio



Sesso e denaro: non è forse questo che muove il mondo? Eppure esiste qualcosa che non è addomesticabile né in vendita: la passione, per esempio. Frutto di uno stage riservato a trenta interpreti (Laura Saviello, Francesco Siani, Rosalba Ronca, Daniela Guercio, Nina Stimolo, Teresa Carotenuto, Nicoletta Chianese, Mariavirgilia Vincensi, Lucia D’Aiutolo, Lucia Adinolfi, Carmen Maria Amoroso, Antonella Ceriello, Adriana Marino, Massimiliano, Costabile, Raffaele Sansone, Anna Bambini, Roberta Reggiani, Marianna Mari, Teresa Massaro, Maria Giovanna Russo, Anna De Vivo, Gemma Dell’Isola, Adele Verdossi, Anna Rita D’Amaro, Franca Guarino, Caterina Ianni, Simona Avallone, Camilla La Corte, Maria Mazziotti, Maria Mattiello, oltre a Pasquale Petrosino che ha curato la direzione organizzativa) “Clitennestra…i sogni” è lo spettacolo diretto da Antonello De Rosa che ha concluso la rassegna Aspettando i Barbuti presso la Chiesa di Sant’Apollonia di Salerno. La tragedia greca è sovvertita all’insegna dell’avidità e dell’alienazione. Agamennone è deciso a tornare in patria solo quando avrà “le tasche piene”, Ifigenia è sacrificata per una questione di debiti, Elettra e Oreste vogliono la vendetta, ma anche controllare l’industria paterna. I fantocci con cui si presenta Agamennone sono trofei, ma anche immagine della riduzione delle persone a cose, tanto che uno di essi rappresenterà il sovrano ucciso. In questo contesto è Clitennestra “l’anello che non tiene”, la donna che dà scandalo ascoltando le sue viscere e uccidendo chi ha calpestato la sua identità di donna e madre. Le figure in scena recitano a turno i ruoli principali, perché un’anima ha più facce. Non si limitano al ruolo interlocutorio del coro greco, ma agiscono da cassa di risonanza dell’inconscio, portando alla luce tensioni e sensazioni inutilmente represse. Sospesa tra la dimensione onirica e quella della follia, chiusa in un manicomio, Clitennestra contrappone il furore del desiderio a un potere maschile che mira solo a perpetuare se stesso. Non è un caso che Agamennone  e il dottore della casa di cura abbiano lo stesso volto. L’ossessione diventa libera manifestazione di sé rispetto all’ipocrisia del contesto (il quartiere che disprezzerebbe l’amore tra Oreste e Pilade) e poco importa se ciò che la protagonista vive sia reale o immaginario. Non si può chiedere alla passione di annullarsi.

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