giovedì 24 marzo 2022

“Ditegli sempre di sì”, le parole disabitate

 

Ipocrite, ambigue, sfuggenti. Le parole non sono mai solamente se stesse ed è pazzia sperare che lo siano. Spettacolo giocato su un accorto senso del ritmo e su un grande affiatamento dell’intero cast, “Ditegli sempre di sì” di Eduardo De Filippo ha visto impegnata, per la regia di Roberto Andò, la compagnia Elledieffe al Teatro Verdi di Salerno. Le note de “La forza del destino” aprono e chiudono la messinscena con chiaro riferimento all’inesorabilità della condizione umana. Chi, infatti, non considera il linguaggio come una strada aperta verso l’atro, ma come semplice riflesso di una nevrosi, di un alibi, di un opportunismo, parte da se stesso e a se stesso ritorna e le distanze aumentano vertiginosamente. Le parole appaiono di fatto disabitate, sradicate da un senso condiviso. La commedia, a quel punto, è indistinguibile dalla tragedia, come mostra la vicenda di Michele Murri (il miglior ruolo di Gianfelice Imparato, in equilibrio perfetto tra crudeltà e ingenuità), uscito dal manicomio, ma non rinsavito, e destinato a portare scompiglio nella vita della sorella (Carolina Rosi) per l’incapacità di cogliere un lato nascosto nella comunicazione. Un amico  in contrasto col fratello si dichiara morto agli occhi di quest’ultimo? Eccogli arrivare una gigantesca corona di fiori. La sorella del protagonista fa gli occhi dolci al padrone di casa? Appare scontato che voglia convolare a nozze con lui. Un personaggio immagina una vincita favolosa? È già facoltoso agli occhi di Michele. Se quest’ultimo è un elemento di disturbo, non si può tuttavia affermare che il contesto attorno a lui sia sano. All’inizio della rappresentazione, le altre figure sono immobili sul proscenio, mentre Michele avanza con lenta circospezione sullo sfondo; la stessa con cui si muoverà la cameriera nell’ultimo atto, durante la gita in campagna, come se gli interpreti vivessero in una sorta di bolla che li taglia fuori dalla realtà. L’asetticità degli ambienti fa pensare a una casa di cura. Gesti e comportamenti sono spesso grotteschi, eccessivi, plateali, evidenziando quanto la normalità (ammesso che tale idea esista) sia decisamente estranea a quel che accade sul palcoscenico. Ciò che si dice, quindi, è scisso dalla concretezza, dall’autenticità, perché non ci si sottrae alla nebbia delle convinzioni radicate e dei falsi giudizi. È proprio vero che la parole sono pietre: sanno creare muri impossibili da scalare.

Nessun commento:

Posta un commento