mercoledì 16 luglio 2025

“L’anatra all’arancia”, croce e delizia del tradimento

 


Si può essere un “bugiardo cronico”, sempre pronto a rincorrere qualche gonnella e compiaciuto del controllo sul proprio menage, per poi essere tramortito da una notizia clamorosa: un “Apollo”, per di più aristocratico e facoltoso, sta per portare con sé verso una nuova vita i figli e la consorte, stanca per le continue infedeltà. Che contromisura adottare per scongiurare il disastro matrimoniale? Accolto molto calorosamente dal pubblico del Teatro Verdi di Salerno, “L’anatra all’arancia”, basato sul testo di William Douglas Home e di Marc Gilbert Sauvajon per la regia di Claudio Greg Gregori, deve il proprio successo a un frizzante connubio di attori, perfettamente consapevoli su come si orchestri un ritmo capace di coinvolgere lo spettatore. Emilio Solfrizzi (Gilberto) è il perno attorno a cui ruotano le situazioni, carismatico padrone della scena dalla prima all’ultima battuta, che restituisce freschezza anche a espedienti consumati, come il dilatare il dialogo attraverso il fraintendimento di un vocabolo, una mimica buffa e, talvolta, ironicamente pretestuosa, un sistematico disorientamento dell’interlocutore. Carlotta Natoli sa rendersi del tutto credibile nella sua fragilità sospesa tra candore e sarcasmo, mentre Ruben Rigillo (Leopoldo Augusto) dimostra acuto senso della misura nel contrapporre la propria galante ragionevolezza agli eccessi del rivale. Nei panni di Patty Pat, l’avvenente segretaria del marito tradito, Beatrice Schiaffino crea una perfetta oca felice di conquistare gli uomini, ma capace di insospettabile saggezza e Antonella Piccolo, che impersona la domestica Teresa e sembra riecheggiare lo stile di Tina Pica, è una burbera benefica difficile da dimenticare. La regia, supportata dalle scene di Fabiana Di Marco, dai costumi di Alessandra Benaduce e dal disegno luci di Massimo Gresia, sceglie la prevedibilità. Gilberto è un campione degli scacchi e pezzi di tale gioco contribuiscono all’arredamento del salone in cui si svolge l’azione, sottolineando come l’astuzia sia fondamentale nel piano del protagonista. Assume, quindi, un valore metaforico il sacrificio della regina nella partita tra i due personaggi principali che apre lo spettacolo: lui dovrà spingere lei a perdere qualcosa di importante, cioè la propria credibilità di moglie, perché il legame creduto morto possa rifiorire. Una volta scoperta non solo la tresca, ma anche che Lisa e l’amante sono in procinto di partire per Parigi, il marito la convince a ospitare nel weekend Leopoldo, concedendo un divorzio in cui possa accollarsi ogni colpa. Quando, infatti, la domestica scoprirà Gilberto nel letto di Patty Pat, invitata a sua volta, la scelta di Lisa di abbandonare il tetto coniugale risulterà più che legittima. La “generosità” dell’uomo è ovviamente un inganno: si finge accogliente e giulivo con il proprio antagonista, ma, appena gli si presenta l’occasione, descrive la moglie come una squilibrata, anticipa al conte gli infiniti disagi che avrà se accoglie i due figli della coppia, dato che il maschio si dedica ossessivamente alla batteria, riesce a incrinare il rapporto tra Lisa e il suo nuovo compagno. La gelosia di lei nel constatare che Gilberto non ha semplicemente finto, ma ha effettivamente vissuto una notte di sesso con la segretaria, dà il colpo di grazia al progetto di ricominciare coltivato dai due amanti. È a questo punto che la spregiudicatezza di Patty Pat pone le circostanze sotto una luce diversa: non esiste, in fondo, una grande differenza tra lei e Leopoldo. Quest’ultimo, che ha comunque tre matrimoni falliti alle spalle, pretende di dare stabilità a ciò che la ragazza vive con il massimo disimpegno, cioè il desiderio di avere qualcuno per sé, ben prima e oltre l’antico inganno chiamato amore. La sensualità, insomma, ha le sue ragioni e non riconoscerle è dannoso e sciocco. La bella giovane, quindi, avrà pure la cultura di un cactus (predilige “Natale a Cortina”, su cui si scatena l’ironia del suo capo, che la lascia ai “tortuosi meandri artistici della pellicola”), ma certo non perde di vista l’essenziale. Il coniuge, dal canto suo, non va per il sottile: se Lisa resta con il nobile gentiluomo, “più noioso di tutti i film di Antonioni messi insieme”, morirà di noia e dopo un anno avrà la stessa freschezza di un quadrifoglio conservato in un libro. I due, di conseguenza, si ritrovano felicemente. La sensazione è quella di assistere a una messinscena piacevole, che però non gioca fino in fondo le carte di una sana cattiveria. Ricorrere alla simulazione di un orgasmo o a inequivocabili movimenti pelvici per ricordare quanto il sesso conti resta la scelta di chi è sprovvisto di fantasia. Se è vero che la commedia propone un’infinità di strade per raggiungere il proprio bersaglio, non sempre la più facile conduce lontano. Dare scacco al pubblico, conquistandolo fino in fondo al di fuori di soluzioni espressive ricorrenti e non sempre efficaci richiede coraggio ed estro. In caso contrario, il grigiore rimproverato a Leopoldo si ripresenterà, tenace e scomodo.  

Nessun commento:

Posta un commento