mercoledì 7 maggio 2014

Il salernitano Luca Trezza a Bologna e Torino con “Wwww.testamento.eacapo”



Dissertare sulla schiavitù psicologica creata dal web è argomento alla portata di molti, ma pochi ne sanno cogliere la natura disturbante come l’attore, drammaturgo e regista salernitano Luca Trezza in “Wwww.testamento.eacapo”. Classificatosi al primo posto nella sezione Teatro al Festival della Creatività di Roma Capitale 2013 e prodotto da Formiche di vetro Teatro in collaborazione con Erre Teatro di Vincenzo Albano, lo spettacolo sarà in programma dal 7 all’11 maggio presso l'Ambhara Bar in via Borgo Dora 10, alle ore 19.30, nell’ambito del Torino Fringe Festival, mentre il 16 giugno sarà a Bologna presso la Villa Aldrovandi Mazzacorati (Teatro 1763) in occasione del Per(A)spera Festival. In “Wwww.testamento.eacapo” Trezza consuma ogni fibra del suo essere. Offre senza mezzi termini uno specchio generazionale tendente di continuo al parossismo e al tempo stesso il ritratto convulso di un’anima serrata nelle proprie nevrosi. I pochi oggetti in scena (un bicchiere di latte, una web-cam, una rosa, un leggio dove campeggiano emoticon) descrivono le fragili coordinate di quello che potrebbe essere liquidato come un sociopatico. Agita il braccio come se respingesse qualcosa di maligno, mescola il dialetto napoletano, quello romano, un italiano pseudo-aulico e concreto, (la grottesca koinè della rete, ricca di echi e incongrue suggestioni), danza in circolo reggendo il filo della minuscola telecamera come se fosse un prolungamento di sé. Il corpo di Trezza è esagitato perchè riflette l’incapacità di divincolarsi da se stesso. Le catene che lo stringono mentre attende invano su di un ponte la ragazza X conosciuta in chat (lo stesso ponte da cui un uomo fa precipitare la moglie per aver scritto su Facebook di essere single: le parole sono pietre) sono il legame ossessivo con il passato, la difficoltà di appropriarsi del tempo, l’insofferenza di non riconoscere più il proprio volto nello scorrere insensato delle ore. La rosa posta nel bicchiere di latte allude alla passione che trae linfa dalle pulsioni dell’infanzia, quasi fosse un’occasione per ritrovare la propria identità: opportunità frustrata dall’impossibilità di manifesatre una sessualità adulta. La mela divorata simboleggia il tempo consumato senza costrutto, il vecchio osservato da un androne prefigura l’aridità che lo attende. Nell’eterno presente della chat, dove tutto può ripartire da capo, il passato è un fantasma molesto e il futuro un nome da dare al proprio nulla. Quello contro cui il giovane si accanisce è la frustrazione di chi è ormai ridotto a un nickname, senza sperimentare i rischi e i piaceri della carne. Ecco allora che il suo percorso è un falso movimento: gli orizzonti si restringono fino a scomparire e poco vale guardare dentro di sé fino alle ossa. È la vita stessa a non apparire su quel ponte solitario.

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